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Eva Robin’s: “La prima volta a 8 anni, mia madre lo denunciò. Io presa a botte da un prete. E su Paolo Villaggio…”

Eva Robin’s: “La prima volta a 8 anni, mia madre lo denunciò. Io presa a botte da un prete. E su Paolo Villaggio…”. Eva Robin’s sulla prima volta, L’oro del Reno, e non solo. La cantante e attrice, 66 anni, parla del suo ruolo nel film diretto da Lorenzo Pullega nelle sale da oggi, giovedì 3 luglio, in una intervista a ‘La Repubblica’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

L’incontro con “L’oro del Reno” è avvenuto in modo del tutto spontaneo. «È lui che è arrivato a me. La scena è stata girata alla Chiusa di San Benedetto, a Bologna, dove io – insieme ad altri – sono una dei villeggianti del “posto del sole”. Frequento il posto da trent’anni. È un luogo, appunto alla Chiusa di Casalecchio, dove per via di un’escursione termica dovuta alla posizione strategica, si può prendere il sole anche a gennaio, anche con la neve, e non si ha freddo. Lì ho conosciuto il regista, a una fermata dell’autobus. L’anno in cui stavano quasi per finire il film, c’è stata l’alluvione a Bologna, proprio in quella zona, e così le riprese lì sono slittate di un anno».

Eva Robin’s: “La prima volta a 8 anni, mia madre lo denunciò”

Dopo un lungo periodo di assenza dal cinema, l’attrice è tornata sul set con diversi progetti. «Sì, ma ora ne ho tanti. Uno con Carolina Cavalli, Il rapimento di Arabella, con Benedetta Porcaroli. Il mio ruolo era stato pensato per Rossy De Palma. Ma quando Carolina stava iniziando le riprese, non è più riuscita a trovarla. Così la mia vicina di casa Daniela Catari – due David di Donatello per il trucco – ha fatto il mio nome. Carolina mi ha presa sulla fiducia».

Nonostante il ritorno alla scena, la paura di deludere resta un pensiero costante. «Il mio più terrore è essere una delusione per le persone che credono in me, soprattutto gli amici. Direi che la delusione e la vergogna sono i due sentimenti che più mi spaventano».

La vergogna, in particolare, è un’emozione difficile da gestire. «Temo di fare qualcosa che mi esponga a un giudizio pubblico negativo, capisce?». E quando questo accade, cerca di affrontarlo con lucidità. «Sì, in piccole cose. E ho capito che è un’ospite difficile da gestire. Quando capita, faccio una lista delle azioni che mi porterebbero alla vergogna, alla depressione, alla mancanza di lavoro. Le metto tutte lì, nero su bianco. Ho bisogno di impormelo da sola perché non riesco a farmi insegnare queste cose neanche dalla persona con cui condivido la mia vita (una donna, da tantissimi anni, si era parlato di matrimonio, poi non più, ndr)».

Eva Robin’s: “Io presa a botte da un prete”

Il primo impatto con la vergogna risale all’adolescenza, in un contesto doloroso. «Mi sono vergognata quando mi hanno sorpresa mentre amoreggiavo con un compagno del mio stesso sesso. Quella è stata la mia prima grande vergogna, anche perché sono stata punita per questo. Avevo tredici anni. Ero in un collegio di sacerdoti, sul San Luca, a Bologna. Uno dei preti mi prese per i capelli, eravamo in cerchio, sembrava volesse fare la solita ramanzina, poi all’improvviso cominciò a darmi dei calci sul petto. È stato orrendo».

Anche alcune esperienze infantili sono tornate alla mente con una nuova consapevolezza nel tempo. «Sì, però allora l’ho vissuto come un gioco. Il primo contatto sessuale l’ho avuto a otto anni. Provocai io l’adulto, ma ovviamente oggi so che una creatura di otto anni non provoca nessuno. Quell’uomo era molto scuro, abbronzato. Ero stata lasciata da un’amica di mia madre a casa di lui. Avevo iniziato una sorta di lotta, un gioco. I bambini non sanno dove può portare una cosa del genere. Lo raccontai a mia madre con entusiasmo, appena tornata a casa. Lei andò subito al commissariato e lo denunciò».

Il rapporto con il padre, seppur affettuoso, era segnato da un ostacolo simbolico. «Aveva solo un limite: non riusciva a chiamarmi Eva, mi chiamava Roberto. Però mi portava fuori a pranzo, si tingeva i capelli molto più di quanto faccia io ora. Una volta lo ricoverano in ospedale, vado a trovarlo, scopro che l’avevano messo nel reparto donne perché aveva i capelli lunghi, con la crescita bianca. Mi dice: “Pensa, mi hanno messo qui, poi mi hanno portato la padella e hanno visto che non ero una donna”. E io: “Vedi che si sbagliano anche con te?”».

Eva Robin’s: “La prima volta a 8 anni, mia madre lo denunciò”

Nel corso del tempo, la sensibilità collettiva su certe tematiche ha conosciuto cambiamenti altalenanti. «Credo che ci siano flussi e riflussi. Momenti in cui sembra che tutto vada avanti, poi succede un fatto di cronaca e ti rendi conto che in alcune parti del mondo, o anche solo in altre zone del tuo stesso paese, si è ancora indietro di decenni. Comunque, secondo me, il prezzo più alto lo paga sempre la donna. La diversità inizia da lei, poi vengono tutte le altre forme di alterità. Ma la donna è ancora la più colpita».

Riguardo alla situazione attuale, il suo sguardo è critico e disilluso. «Vedo una regressione. Una sopraffazione nella coppia che non nasce tra sconosciuti. L’aggressore e la vittima si conoscono. Credo che tutto questo derivi da uno sviluppo della libertà femminile che molti uomini non riescono a sopportare. La donna ha fatto le sue rivoluzioni, è andata avanti. L’uomo è rimasto indietro. E per fermarla, la blocca nel modo più brutale, sapendo perfettamente che pagherà delle conseguenze. È come se in quel momento estremo rischiasse tutto, ma non riesce a fare altrimenti».

Nel suo percorso, ha conosciuto figure emblematiche del mondo dello spettacolo, come Carmelo Bene. «Sì, ero una “carmelitana”. Le spiego. A un certo punto dovevamo fare Lorenzaccio di Musset, c’era il personaggio di una marchesa. Cominciai a frequentare Carmelo, andavamo in Versilia insieme, passavamo le vacanze lì. Andavo in tournée con lui. Voleva che interpretassi quel ruolo, ma alla fine non se ne fece nulla, e la marchesa la fece lui, travestito da donna. Amavo ascoltarlo, mi correggeva su tutto. Passavamo le serate a giocare a ping pong con gli amici. Io, però, ero intraprendente: mi vedevo di nascosto con dei ragazzi del posto, passando attraverso un buco nella rete della villa. Avevo le mie avventure».

Eva Robin’s: “Paolo Villaggio? Mi spogliai per lui e da allora…”

Anche Paolo Villaggio ha lasciato un segno forte nei suoi ricordi. «Era un uragano intellettuale. Mi sorprendeva con discorsi profondi. Io capitai di soppiatto a una festa, una di quelle situazioni in cui ti imbucavi. All’inizio tutti gli occhi erano puntati sulla mia amica, molto vistosa. Ero piccolina, passavo inosservata. Poi venne fuori che la piccolina era anche fornita… e da lì Villaggio cominciò a supplicarmi di fare qualcosa, neanche sapeva bene cosa. Quella sera, visto che era estate e non faceva freddo, mi sono spogliata. Da lì iniziarono gli inviti, diventai una presenza fissa a feste e cene esclusive, mi ritrovai in mezzo a personaggi come Marta Marzotto, Bianca Jagger, Christian Bulgari, industriali come Barilla… E poi fui adottata dalla moglie di un ricco industriale dell’acciaio tedesco».

Se inizialmente quel mondo esercitava un fascino, con il tempo arrivò anche la disillusione. «All’inizio sì, poi ho iniziato anche a rifiutarlo. Ero diventata un giocattolino, un cliché. Non è che mi chiedessero di spogliarmi, non erano proposte esplicite. Semplicemente c’era il passaparola da discoteca, battute tipo “vedi quella”… No, per fortuna nessuna richiesta di prestazioni».

Diverso fu l’episodio legato a Francesco Nuti. «In verità non lo conoscevo, mi chiamò una sera al telefono con Carole Bouquet, probabilmente erano un po’ brilli, mi fecero delle proposte… Ma in quel momento mi stavo facendo un impacco ai capelli e non andai. Era un periodo disastroso, registravo Primadonna a Roma, il programma con Gianni Boncompagni, mi ero trasferita ma andava malissimo».

Eva Robin’s: “Boncompagni? Ad un certo punto mi ha abbandonata”

Boncompagni, insieme ad Antonio Ricci, fu tra i suoi mentori in televisione. «Sì, peccato però che a un certo punto si sia disamorato. Mi ha abbandonata. Brutto a dirsi, ma probabilmente l’ho deluso in qualcosa. Avevamo un rapporto quotidiano, mi mancava. Con Ricci, invece, è stato tutto strepitoso: Il lupo sanitario era avanguardia visiva. Era avanti, avanti davvero».

Non mancano infine i rimpianti per alcune occasioni mancate nel cinema. «Quella per Snack bar Budapest di Tinto Brass. Faccio il provino, in una camera con lo specchio dietro al letto. Non ricordo cosa dovessi fare, ma a un certo punto il regista mi guarda e fa una faccia strana. Poi dice “ma com’è secca…”. Da lì non mi hanno più presa. Poi, il provino di Manuale d’amore 2, con Monica Bellucci. Cercavano una trans per l’episodio con Albanese e Rubini. Arrivo sul set, Monica mi dà un bacio e mi dice “in bocca al lupo, ci teniamo che ci sia anche tu”. Vedo una fila di povere transessuali che aspettavano sotto il sole, mentre a me fanno fare il provino subito. Dico le mie battute, vedo Giovanni Veronesi che guarda il monitor, fa una faccia contrariata e commenta “ma sembra una donna…”. Insomma, mi hanno scartata perché ero troppo donna. Scelsero una brasiliana senza seno, le hanno tagliato tutte le battute, ma tanto volevano solo il cliché».

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