Leao Napoli, la celebrazione del nulla dura meno di una settimana: ecco la differenza tra immagine e sostanza. La vittoria del Milan contro il Napoli dello scorso 28 settembre è destinata a essere ricordata più per una fotografia che per il calcio giocato. Non per un gol spettacolare, non per una giocata decisiva, ma per uno scatto – e non quello in senso figurato: una foto che immortala Rafael Leao in contropiede, circondato da sette giocatori del Napoli. Un’istantanea che, nel mondo della narrazione sportiva contemporanea, è diventata un piccolo capolavoro di mitologia moderna. Peccato che quella corsa, tanto osannata, si sia conclusa con Gutierrez che gli porta via la palla come a un ragazzino dell’oratorio.
Eppure, il giorno dopo, quotidiani e siti sportivi italiani traboccavano di titoli trionfali e, soprattutto, paragoni assurdi: “Leao come Maradona!”, “Un’azione che ricorda Messi!”, “Sette uomini per fermarlo!”. Un’orgia di esaltazione improbabile, un carosello di suggestioni buone solo a riempire spazi e a stimolare click. Perché, ormai, la spettacolarizzazione del nulla è diventata la vera specialità del giornalismo sportivo. L’azione non conta, conta l’immagine. E se l’immagine è abbastanza virale, allora tutto diventa leggenda.
Anche il protagonista di questa epopea del nulla, Rafael Leao, non si è certo tirato indietro, pur non avendo fornito alcun contributo a quella vittoria, ha comunque trovato il modo di salire sul carro della celebrazione. “Se fossi stato al 100%, sarebbe andata meglio”, ha dichiarato con disarmante naturalezza, aggiungendo orgoglioso di avere lo screenshot della scena salvato nella sua galleria. E poi, come da copione, il post social: Leao che conta fino a sette a ritmo di musica. Un’autocelebrazione costruita su un non-evento, un monumento all’estetica del gesto inutile.
La differenza tra immagine e sostanza
Il problema è che, una settimana dopo, la realtà ha fatto il suo corso e ha svelato la differenza tra immagine e sostanza. Domenica 5 ottobre, al minuto 89 di Napoli-Genoa, la scena si è ripetuta: Colombo in contropiede e, ancora una volta, sei giocatori del Napoli a rincorrerlo, con Gutierrez a chiudere tutto. Stesso copione, ma senza clamore. Nessun titolone, nessuna apologia della corsa disperata, nessuna grafica virale. Eppure, a ben guardare, questa è la vera notizia: la compattezza di un Napoli che, anche nel finale di partita si fionda in massa per proteggere la propria porta. Un gesto collettivo, un riflesso di squadra, un segno di identità. Ma si sa, la sostanza fa meno rumore dell’apparenza.
Intanto Leao, con una settimana di allenamento in più, è tornato in campo contro la Juventus e ha confermato il suo momento di grazia… al contrario. Due occasioni nitide, due faccia a faccia con il portiere, due errori clamorosi. Un copione già visto, ormai familiare. Eppure parliamo di un giocatore da sette milioni di euro a stagione, bonus compresi. Un top player a parole, un influencer del dribbling, un artista della corsa scenografica. Ma il suo ultimo gol in questa stagione, risale al 17 agosto, contro il Bari in Coppa Italia.
La deriva di una certa narrazione sportiva
E così, mezza Italia del pallone si ritrova a celebrare un’istantanea che non racconta nulla, se non la deriva di una certa narrazione sportiva: quella che preferisce l’effimero al concreto, il “meme” al movimento, l’applauso al merito. Ma il vero eroe di quella vicenda, se proprio vogliamo trovarne uno, non è il Leao in fuga verso il nulla, ma il Napoli: una squadra che non molla mai, che rincorre, che crede nella cooperazione, che difende con l’orgoglio e con l’istinto. Quella è la corsa che vale la pena celebrare, quella che racconta un valore, un’identità, un principio.
Nel mondo del calcio di oggi, basta un frame ben scelto per costruire un’epopea. E così, tra un “Leao come Maradona” e un “sette contro uno”, ci ritroviamo a glorificare l’inutile, a trasformare una palla persa in un gesto iconico. Forse il vero miracolo non è la corsa di Leao, ma la capacità del sistema mediatico di trasformare una non-azione in leggenda. E a pensarci bene, sì, questo sì che è un capolavoro.
Carmine Gallucci
direttore@brevenews.com












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