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Milano non è Napoli, Francesca Albanese nella bufera dopo la denuncia del Movimento Neoborbonico

Milano non è Napoli, Francesca Albanese nella bufera dopo la denuncia del Movimento Neoborbonico. Francesca Albanese, relatrice speciale dell’Onu per la Palestina, è riuscita nell’impresa di spiegare al mondo cos’è la pace calpestando la dignità di un intero popolo. Un record, anche per i tempi confusi che viviamo.

La donna che dovrebbe incarnare la diplomazia e la tutela dei diritti umani si è invece rivelata, con una sola frase, prigioniera di un pregiudizio vecchio, volgare e tossico. “Milano non è Napoli, nel senso che lì ci pensano che si devono svegliare alle 6”, ha detto Albanese nel podcast Tintoria, con fare ironico mentre parlava di una tragedia come quella di Gaza.

Parole pronunciate con leggerezza, ma cariche di un disprezzo tanto inconsapevole quanto profondo. E soprattutto, pronunciate da chi pretende di dare lezioni al mondo su giustizia, uguaglianza e rispetto. È ironico, e insieme tragico, che proprio una relatrice dell’Onu, figura che dovrebbe rappresentare l’imparzialità e l’empatia universale, cada nel più becero dei luoghi comuni: quello del napoletano fannullone. Lo stesso cliché che per decenni è stato usato per legittimare discriminazioni, tagli, esclusioni.

Napoli non ha bisogno di difendersi

Non bastava essere colpiti da secoli di pregiudizi e di diseguaglianze strutturali, ora ci si mette anche chi parla a nome dei diritti umani. Da Ariano Irpino, la signora Albanese si permette di guardare Napoli dall’alto, con la supponenza di chi crede che l’ironia giustifichi tutto. Ma non c’è nulla di ironico nel perpetuare una narrazione tossica che umilia milioni di cittadini, lavoratori, famiglie.

Napoli non ha bisogno di difendersi, ma di essere rispettata. Eppure non può passare sotto silenzio l’ennesimo insulto travestito da battuta. Gennaro De Crescenzo ed Emilio Caserta, rispettivamente presidente e segretario del Movimento Neoborbonico, tra i primi a sottolineare lo scivolone, che chiedono la revoca della cittadinanza onoraria conferita dal sindaco Manfredi.

La nota del Movimento Neoborbonico

“Non vogliamo entrare nel merito delle posizioni pro o contro la Palestina e in queste ore stiamo pregando per la pace. Abbiamo spesso apprezzato gli interventi di Francesca Albanese sul “genocidio” ma la questione questa volta è diversa. Nel corso di un dibattito sul seguitissimo blog “Tintoria” ha pronunciato una frase molto infelice per giunta sorridendo e mentre si parlava, appunto, della tragedia in corso. “Queste proteste per la Palestina ormai coinvolgono le masse” – per la Albanese- “pure a Milano nel cuore della notte con la gente scesa in piazza in un giorno lavorativo: Milano non è Napoli, lì ci pensano che devono svegliarsi alle 6”.

La Albanese è campana ma è evidentemente vittima di luoghi comuni ormai veramente insopportabili dando per scontato (e il sorriso o lo scherzo aggravano la tesi) che, rispetto ai Milanesi, i Napoletani sono dei nullafacenti del tutto disabituati a svegliarsi alle 6 per andare a lavorare. Questa tesi offende milioni di Napoletani a Napoli e in giro per il mondo, Napoletani per giunta costretti a subire una mancanza di diritti e servizi antica di oltre un secolo e mezzo e per questo costretti a lavorare anche di più di altre popolazioni, spesso rassegnandosi ad emigrare o ad accettare lavori con stipendi bassissimi o a vivere nelle umiliazioni o nella disperazione.

Non sono accettabili scuse e giustificazioni (“sono campana”, “amo Napoli”, “ho tanti amici napoletani”, “scherzavo”) e chi pensa questo dei Napoletani non può ricevere una cittadinanza onoraria della nostra città, come prevede una apposita delibera con una cerimonia già fissata per i prossimi giorni”, conclude la nota del Movimento Neoborbonico.

La class action

Le parole hanno un peso, soprattutto quando provengono da chi riveste un ruolo istituzionale internazionale. E se una relatrice Onu non è in grado di comprenderlo, forse dovrebbe riflettere sulla propria idoneità. La pace non si predica insultando chi lavora, chi lotta, chi sopravvive ogni giorno tra difficoltà che lei, evidentemente, non conosce.

L’avvocato Angelo Pisani, legale storico di Diego Armando Maradona, ha espresso il suo disappunto e annunciato una class-action. “Una donna che semina discriminazione esercita una forma subdola di violenza”. Già, perché ridurre un popolo a una barzelletta non è solo cattivo gusto, è un atto di esclusione. È una violenza verbale che mina la dignità e rafforza stereotipi.

Per Pisani la class action non è un gesto simbolico: è la risposta civile a un’arroganza istituzionale che deve finire. “Nessuno può permettersi di soffiare impunemente sul fuoco della guerra”, ha detto, “oggi dobbiamo tutti impegnarci per favorire pace e dialogo”. Parole che dovrebbero far riflettere proprio chi, dell’Onu, dovrebbe essere portavoce di pace e dialogo.

Anche il Pd prende le distanze

Nel frattempo anche il Partito Democratico, che fino a ieri la corteggiava come simbolo della giustizia internazionale, comincia a prendere le distanze. Anche Enrico Di Stasi, segretario provinciale del Pd di Bologna, ha espresso disagio per la cittadinanza onoraria prevista per la giurista. Segno che, finalmente, anche i più distratti stanno capendo che la coerenza non può essere un optional. Non si può parlare di uguaglianza e intanto deridere chi vive a Sud, come se la geografia decidesse la moralità o la laboriosità delle persone.

La cosa più grave, però, non è la frase in sé, ma ciò che rivela: un pregiudizio radicato e un senso di superiorità culturale che nessuna sigla internazionale può lavare via. Albanese si presenta come paladina dei popoli oppressi, ma dimentica che anche nel suo Paese esistono ferite ancora aperte. Ferite che si chiamano razzismo interno, pregiudizio, discriminazione. Napoli e il Sud intero hanno pagato e continuano a pagare il prezzo di una narrazione che li vuole indolenti e arretrati, quando in realtà sono tra le regioni che producono, innovano e resistono più di tutte, spesso nonostante lo Stato.

Quella battuta, pronunciata tra una risata e l’altra, non è solo un’offesa a Napoli: è un tradimento dei valori che Albanese dovrebbe rappresentare. È il sintomo di un mondo in cui chi parla di diritti umani crede di poter scegliere a chi applicarli. La relatrice Onu per la Palestina, che pretende di insegnare al mondo cos’è la pace, ha dimostrato di non capire nemmeno cosa sia il rispetto. E il rispetto, a differenza della pace che predica, non è un concetto teorico: si misura nei gesti, nelle parole, nei silenzi.

Napoli è un’altra cosa

Napoli non è Milano, certo. Napoli è un’altra cosa: è cuore, è fatica, è riscatto, è dignità. È una città che si alza ogni giorno alle sei, alle cinque o anche prima, per lavorare, per sopravvivere, per vivere con orgoglio. È una città che ha dato al mondo arte, cultura, scienza, umanità. Non ha bisogno delle prediche di chi, da un pulpito internazionale, si permette di guardarla con sufficienza.

Francesca Albanese ha perso un’occasione preziosa per dimostrare che la pace comincia dal rispetto. Ma forse, per capirlo, dovrebbe prima imparare a guardare Napoli non come un pregiudizio, ma come una lezione di vita. E quella, a differenza dei titoli Onu, non si ottiene con le nomine: si conquista con l’umiltà.

Carmine Gallucci
direttore@brevenews.com

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