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Giorgio Pasotti: “Sono un padre separato e rientro nella categoria dei mammi. Sulla nuova fiction…”

Giorgio Pasotti si racconta 8m una lunga intervista rilasciata ai microfoni de ‘La Gazzetta dello Sport’:

Alla fine è tutta una questione di equilibrio. Nella vita, nel lavoro, persino nelle fiction. Giorgio Pasotti però parte avvantaggiato. Prima di essere attore è stato un importante atleta di arti marziali, dove l’equilibrio è praticamente tutto. E oggi nella serie tv “Il silenzio dell’acqua”, in onda la domenica sera su Canale 5, interpreta un vicequestore che ha il suo bel da fare per trovare la giusta posizione.

Partiamo da qui: il suo personaggio cerca l’equilibrio tra l’essere uomo e poliziotto.
“Giusto. Andrea Baldini è nato e cresciuto in un piccolo borgo marinaro di cui conosce ogni singolo abitante. In quei posti si vive in serenità e quiete, ma quando accade qualcosa di grave come in questo caso, ossia l’omicidio di una ragazza, tutti ne risentono. Lui da un lato è spinto a voler trovare il colpevole di questo delitto, dall’altro è portato a proteggere il suo mondo e i suoi affetti”.

Le arti marziali le hanno insegnato ad essere equilibrato?
“A me hanno aiutato tanto e oggi dovrebbero farle tutti. La società è diventata complessa, ha ritmi frenetici, la competitività è al limite dell’umano, quindi siamo spinti a mettere gomiti e piedi in testa a chiunque pur di farcela. In un contesto come questo, fatto di violenza e di pericolo anche nelle cose più semplici, le arti marziali aiutano a affrontare ogni cosa senza impulsività”.

Da dove nasce questa passione?
“Ero un bambino parecchio vivace e anche un po’ goffo. Mio padre per farmi calmare mi portò a 5 anni in una palestra di Bergamo a provare il karate ed è stato amore a prima vista. A 13 anni sono passato al wushu, un’arte marziale cinese a metà tra karate e ginnastica artistica, in cui ci sono diverse evoluzioni aeree quindi è più acrobatica e l’effetto più spettacolare. In questa disciplina sono stato più volte campione italiano, due volte campione europeo e ho ottenuto un importantissimo quarto posto ai Mondiali di Baltimora”.

Dunque l’idea di papà Mario, ex pugile e poi maestro di arti marziali, ha funzionato?
“Beh sì, sicuramente sono cambiato. Per i bambini vivaci come me le arti marziali sono l’ideale, perché possono incanalare la loro energia in qualcosa di sano e non in qualcosa di pericoloso o deviante. Ma sono perfette anche per i più introversi, che qui vengono aiutati a rafforzare il proprio carattere, a non avere paura di affrontare delle prove. Oltretutto c’è il contatto fisico, che nel karate è controllato quindi assolutamente non violento, un modo importante per imparare a gestire i colpi e in senso più ampio tutto il nostro corpo e l’eventuale rabbia. Secondo me è lo sport che meglio di qualsiasi altro favorisce lo sviluppo psicofisico di un bambino, anche perché non allena solo il corpo, ma ha anche una importante funzione educativa, insegna la disciplina e il rispetto delle regole, senza nulla togliere al ruolo dei genitori”.

È vero che deve alle arti marziali anche la sua carriera di attore?
“È verissimo. Il cinema non rientrava certo tra i miei sogni di bambino, io volevo diventare medico sportivo… Poi, il 12 dicembre del ’92, sono partito per la Cina. Ci ero già stato per studiare meglio wushu ed ero voluto tornare per fare lì l’università, una specie di Isef cinese. Avevo 19 anni. È successo che cercavano un giovane occidentale per un ruolo in un film di puro combattimento. Mi hanno segnalato e nonostante non avessi mai recitato in vita mia mi presero. I film da uno sono diventati quattro e anche se in quel caso bastasse saper dare cazzotti e calci volanti, il mondo dello spettacolo iniziò ad affascinarmi”.

Quindi è tornato in Italia convinto di voler recitare?
“Non esageriamo. Quelle esperienze erano state solo un divertimento, in realtà al cinema non pensavo ancora. Ma qualcuno stava pensando a me”.

Il regista Daniele Luchetti?
“Esatto! È lui il vero colpevole, se qualcuno ha rimostranze si rivolga a lui. Mi cercò tramite la mia famiglia e mi diede la possibilità di fare il primo film in cui dovevo recitare davvero, “I piccoli maestri”. In quel momento ero ancora incerto su cosa fare della mia vita, ma la storia di quel film era per me particolare: era tratto dall’omonimo romanzo di Luigi Meneghello e raccontava di un gruppo di universitari che abbandona gli studi per abbracciare la Resistenza. Io ho avuto uno zio, il maggiore dei sei fratelli di mio padre, che a 16 anni entrò in un corpo dell’esercito che si occupava di ricostruire i ponti crollati sotto le bombe: fu rastrellato e fucilato assieme ad altri sei ragazzi della stessa via di Bergamo. Quindi verso il film di Luchetti sentivo una sorta di appartenenza, mi sembrava un modo per restituire qualcosa alla storia della mia famiglia. Accettai e fu una folgorazione. Subito dopo feci “Ecco fatto”, l’opera prima di Muccino, un altro colpevole della mia carriera, e non mi fermai più, sono stato letteralmente travolto dal cinema e oggi eccomi qui”.

Però lo sport è stata una costante della sua vita.
“Lo sport è per me una bellissima droga, mi restituisce la pace e la serenità interiore che altrimenti non avrei. E mi aiuta anche a concentrarmi sul lavoro”.

E non si è mai limitato alle arti marziali.
“No, ho fatto davvero di tutto. Lo sci è tuttora una parte importante della mia vita. Da buon bergamasco da ragazzino passavo gran parte delle mie vacanze, estate compresa, sulla neve. Ero anche in una squadra della mia città. A 16-17 anni però ho avuto una sorta di rigetto, dissi ai miei: “Ora basta, voglio andare al mare come tutti i cristiani”. Il rifiuto della montagna durò però solo una decina d’anni, poi ho recuperato l’amore per lo sci, ma senza la parte competitiva. Oggi è pura passione, che fortunatamente ho trasmesso anche a mia figlia Maria (avuta con l’attrice Nicoletta Romanoff, ndr). Siamo da poco tornati da Madonna di Campiglio, vacanza strepitosa!”.

E poi?
“Il pugilato. Mio padre non mi aveva mai permesso di praticarlo, quindi appena mi sono trasferito a Roma, verso i 25 anni, ho infilato i guantoni. Mi alleno tuttora almeno due o tre volte a settimana. In mezzo ho fatto di tutto, equitazione, tuffi, ginnastica artistica, surf… In realtà della vivacità che mi rendeva un bambino iperattivo qualcosa è rimasto!”.

Qual è il campione sportivo che ha nel cuore?
“Ne devo dire per forza uno solo?”.

Gliene concediamo tre.
“Allora, il primo è Alberto Tomba. Ricordo come fosse oggi le fughe da scuola per arrivare a casa in tempo per vedere le seconde manche delle sue gare, un mito assoluto. Da adulto poi ho subito il fascino di Valentino Rossi, un gigante, mi auguro davvero riesca a vincere questo benedetto decimo titolo! E non posso dimenticare Jury Chechi: quando conquistò il bronzo a Atene piansi come un bambino… Un momento che ricorderò per il resto della mia vita”.

E il calcio?
“Sono interista, ma non sono più coinvolto come un tempo. Il calcio oggi è legato a valori che non mi rappresentano: quando vedo i giocatori crollare in campo come fossero stati colpiti da un cecchino mi irrito, come quando sento le lamentele nei confronti degli arbitri. È diventato un brutto esempio, lo guardo con distacco perché preferisco tenermi stretta la memoria di un calcio passato, molto più sano e romantico”.

Ne “Il silenzio dell’acqua” recita accanto a Ambra Angiolini. Avete parlato di pallone?
“In realtà anche Ambra non è tifosa, ovviamente lo segue da una certa distanza, ma mi pare di capire che non sia un’esperta nonostante il suo privato. Parlavamo soprattutto di lavoro: lei era al debutto in una serie tv, ma se l’è cavata davvero bene. È una donna intelligente, una grande professionista, sono stato molto contento di lavorare con lei. Spero davvero possa capitare ancora”.

Torniamo al nostro caro equilibrio. È un equilibrista anche in famiglia?
“Beh sì, sono un padre separato e rientro nella categoria dei mammi, cioè quelli che dedicano la vita ai figli. Maria ha nove anni e io cerco di non farle mai mancare nulla, a partire dalla mia presenza: costruisco il mio calendario di lavoro sulla base del suo, una cosa forse folle, ma non mi pesa, alla fine credo di aver scelto questa strada più per me stesso che per lei…”.

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