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Sylvester Stallone rivela: “Rocky non doveva uscire, era per Drive-in. La ragione del successo è una”

Sylvester Stallone rivela alcuni retroscena legati a Rocky 1, il primo film della saga che lo ha reso celebre

Sylvester Stallone con Rambo e Rocky a Cannes. L’attore ha rilasciato alcune dichiarazioni svelando i retroscena legati al primo Rocky. La star statunitense parla ai girnalisti accompagnato da Paz Vega, nel cast di Rambo: Last Blood, quinto capitolo della saga. Rambo V uscirà in sala a settembre.

“È bellissimo essere qui, era tanto tempo che non tornavo. Mi piace l’energia che mi avete dato in questa carriera così lunga. Rocky 1? Un film che sulla carta avrebbe dovuto essere un fallimento: con un attore sconosciuto, i produttori avrebbero voluto chiunque al mio posto da Robert Redford a un canguro, parlava di boxe che non è un tema di grandissimo successo in realtà, se ne girano tantissimi e pochi funzionano. È stato girato in 25 giorni da un cameraman che non aveva mai fatto un film, tutti sul set hanno lavorato praticamente gratis, non esisteva il reparto costumi ognuno si portava i propri vestiti da casa. E alla fine quando lo abbiamo finito gli studio non volevano neppure farlo uscire, lo volevano mandare soltanto nei drive-in”.

Inoltre, Sylvester Stallone aggiunge: “La ragione del successo? Forse il fatto che in un momento così difficile, mentre uscivano titoli come Taxi Driver e Tutti gli uomini del presidente, io da quell’ingenuo che ero ho fatto un film ottimista, su un uomo che non molla, un ragazzo che grazie all’incontro con una donna rinasce. È un pugile ma avrebbe potuto essere un panettiere o uno che aggiustava biciclette. Ma certo la boxe era una metafora forte perché tutti nel mondo, uomini e donne, sanno cosa significa lottare contro la paura, la solitudine, il fallimento. Non bisogna mai mettersi al di sopra delle proprie storie e dei propri personaggi”, le sue parole riportate da ‘La Repubblica’.

Secondo Stallone, Rambo è l’altra faccia di Rocky: “Rambo è la parte pessimista, dove Rocky è ottimista. Nel libro è un Frankenstein, un uomo che alla fine della storia si uccide per la macchina da violenza che è diventata. Io volevo qualcosa di diverso, quando sono arrivati a me per trovare il protagonista ero l’11esima scelta, nessuno lo voleva fare. Io ho accettato però ho proposto di non farne un mostro, di farne un figlio rigettato dalla sua stessa madre, l’America”.

Sylvester Stallone è consapevole della sua fortuna e di tutte le difficoltà che ha dovuto attraversare: “Io sapevo cosa avrei potuto fare e cosa no, io posso fare Rambo ma certo non Tootsie. All’inizio quando facevo spot pubblicitari i registi si arrabbiavano, non si capisce niente quando parli mi dicevano perché durante il parto ho avuto un incidente (un nervo della faccia è stato danneggiato dal forcipe, ndr) Arnold Schwarzenegger mi diceva ‘hai troppo accento!’ e io gli rispondevo ‘io ho troppo accento?!’. Poi ho preso lezioni di dizione e sono migliorato”. La lezione di resilienza riguarda anche la sua carriera: “A un certo punto io volevo far tornare Rocky, ma erano passati 16 anni e tutti mi ridevano addosso quando lo dicevo. Quelli degli studio mi dicevano ‘sei finito’ ma poi, tempo dopo, quando ho avuto la nomination all’Oscar per Creed, loro erano tutti disoccupati”. E sul finale Stallone non chiude la porta a Rocky: “Ho ancora una grande idea per lui, non so se riuscirò a farlo ma ho pensato a qualcosa di totalmente diverso che potrebbe funzionare. Non è importante come colpisci, l’importante è come sai resistere ai colpi, e se finisci al tappeto hai la forza di rialzarsi… in piedi! In piedi! In piedi!”.

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