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Aurora Ramazzotti: “Io vittima del sistema. Tutti i giorni combatto per sradicare condizionamenti”

Aurora Ramazzotti: “Io vittima del sistema. Tutti i giorni combatto per sradicare condizionamenti”. Lo sfogo della influencer in una intervista rilasciata a ‘Vanity Fair’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

Ha solo 24 anni come si fa a essere so young so good e ad avere una così forte consapevolezza della bellezza che non dipende da modelli standardizzati?

«Non si diventa così dal giorno alla notte, è un grande lavoro che va fatto su se stessi. La nostra società ci impone un modello irraggiungibile e sarebbe bello che questo modello non ci fosse, ma c’è, se solo sapessimo che essere umani significa essere imperfetti! Per qualche strana ragione ci piace pensarci come dei cartonati finti e mai raggiungibili, fin quando non viene il momento in cui realizzi che quel modo in cui ci concepiamo, non è mai come ci vedono gli altri.

E qui comincia tutto e le strade sono due: o ti deprimi e ti fai sopraffare da questa consapevolezza, oppure inizi a lavorare e a prendere coscienza del tuo corpo. Adoro i movimenti di body positivity che sono nati in questi anni proprio perché ammiro le persone che sono in grado di accettarsi per quello che sono. Ancora oggi io non posso dire di avere questa fortuna e consapevolezza così grande perché sono cresciuta circondata da tante cattiverie, persone che mi hanno detto cose bruttissime.

Tutti i giorni combatto per sradicare questi condizionamenti da dentro di me, ma devo fare piccoli passi per arrivare al punto di dire chi se ne frega, l’importante è valorizzare la salute e stare bene nel proprio corpo piuttosto che vedersi perfetti. Le persone che riescono a pensarla così, a vivere secondo i principi del movimento body positive, sono quelle che mi danno tanta forza per accettarmi di più, o quantomeno a provarci».

[…] Usa i social per comunicare messaggi forti, è una responsabilità, ma allo stesso tempo immagino che regali tanta soddisfazione, ci racconta come gestisce la community, come si sente in questo ruolo che si è ritagliata?

«Sono un po’ una influencer anormale, intanto ci ho messo molto ad accettare di chiamarmi influencer, perché tante volte anche il termine indica qualcosa in cui non mi sono mai riconosciuta. Quando aderivo a certi canoni mi sono sempre sentita diversa, mi è sempre piaciuto intrattenere, ostentare non è mai stato il mio fulcro. Il modo in cui comunico sulla mia piattaforma vorrei che facesse capire a tutti che ognuno può sentirsi adeguato a fare qualsiasi cosa, tutto quello che vuole, purché lo faccia con positività e autenticità.

Anche se si comunica un’emozione triste, l’importante è che ci sia un buon fine, costruttivo, e responsabilità verso la persona che sta guardano e che potrebbe farne un uso improprio se non si dosano bene le parole. È importante essere rispettosi e consapevoli, sempre, poi si può sbagliare, ma quel che conta è che ci sia un pensiero.

Un giorno puoi postare la foto con brufoli, capelli bianchi e smagliature, e quello dopo sentirti una diva, tirarti a lucido. Il bello di questo mondo è che noi siamo qui per fare delle esperienze, per testare e fare tutto quello che ci va, è tutto un gioco, non abbiamo limite, è il bello dell’esistenza umana. E possiamo farlo anche sui social ma con cognizione di causa, altrimenti non ci meritiamo di stare su questa piattaforma».

Qual è il complimento più bello che le si potrebbe fare?

«Qualcuno mi ha detto ti ringrazio perché mi hai aiutata ad avere più consapevolezza di me, oppure si è avvicinato allo sport grazie a me. Ho ancora tanto su cui lavorare e tantissimo da imparare, e vorrei essere capace di aggiungere qualcosa e non sottrarre. Se qualcuno guarda il mio profilo e si sente alleggerita, perché ha avuto una giornata pesante e io sono riuscita a strappare un sorriso, è un complimento. Non sempre si deve parlare di cose pesanti, la vita si può alleggerire.

Purtroppo sono ancora vittima del sistema, e lo ammetto senza problemi, se qualcuno mi dice sei carina, mi fa piacere. Tutti i giorni ci provo a uscire dal mindset che la bellezza non è tutto, ma siamo in una società in cui l’aspetto fisico viene per tanti prima di tutto, non voglio essere schiava di questo pensiero, sto lavorando per allontanarmi, però continua a essere una parte di me. E continuo a cercare un senso di riscatto verso chi, quando stavo crescendo e ancora oggi, fa commenti spiacevoli.

Come quando ho parlato del cat-calling, in quel caso tutto si è risolto con chi mi ha detto che non mi merito neppure dei fischi per strada. Poi mi rendo conto che, non si può piacere a tutti, ho visto donne strabilianti denigrate per il loro aspetto. Ecco perché amo la comunicazione di Superfluid, è autentica, non impone sovrastrutture e mi auguro che tutti i brand possano adottare questo approccio prima o poi.

Penso che possa curare veramente una piaga sociale che affligge tutti, soprattutto le donne e le ragazzine cresciute con lo smartphone in mano. Ho sofferto io che non sono una digital native, ma comunque vivevo il confronto – finivo sui giornali dove scrivevano che ero brutta, poi aprivo i blog e mi mettevo a piangere – figuriamoci quanto oggi questo sistema possa agire sulla mente di una ragazzina».

L’autoironia l’ha mai aiutata a superare i commenti spiacevoli su di lei?

«Penso di essere una persona autoironica e oggi non mi interessano e non mi toccano più questi commenti, ma è la dinamica che mi infastidisce. Mi capita spessissimo che mi diano della ce***, ma non me ne frega più niente. Da ragazzina ci soffrivo, ho avuto tanti problemi, non è ho mai parlato perché non è importante, ho sofferto tanto e per molti potrebbe essere una cosa futile, una banalità.

Guardando indietro, oggi sicuramente non starei così male per quello che ho vissuto, ma bisogna sempre misurasi per quello che si è, con quanto si è fragili. C’è chi mi ha detto “ma fatti una risata!” Ma io non voglio ridere, perché in certi contesti l’autoironia non serve, di fronte alla cattiveria non si deve essere autoironici. Decido io quando una casa per me è meritevole di autoironia. Se qualcosa mi fa male, voglio piangere, se il commento è fatto per colpire i mie punti deboli, è mi dicono “fatti una risata”, io non rido solo perché mi viene detto.

Oggi ci si indigna un po’ per tutto, si vede la qualunque sui social e su tutto il web, però più andiamo avanti più la gente si rende conto che bisogna essere rispettosi. Siamo passati dal niente a dover rispettare tantissime cose che non conosciamo. E la questione non è che è pesante volgere un pensiero verso una diversità, è che chi non capisce o non vuole capire, non potrà mai essere rispettoso. Perché è difficile esserlo verso una cosa che non si vuole capire.

Sai quante realtà io non conosco, ma sono una persona curiosa e mi affascina scoprire le diversità. E se qualcuno mi dice che una certa cosa fa male, io ci credo, anche se non la capisco perché non fa parte del mia cultura, ma se fa male a lei o a lui, questa è la più grande verità che ci possa essere».

A chi si sente inadeguata o si giudica brutta, visto che ci è passata anche lei e ora sembra in pace, che consiglio darebbe?

«Ti ringrazio per il risolta, in realtà predico bene e razzolo male. I concetti ce li ho ben chiari ma su di me è sempre difficile applicarti. Posso solo raccontare come ho gestito quello che negli anni mi ha fatto tanto male. Ero un po’ ribelle, non volevo cambiare perché me lo dicevano gli altri. Poi è entrata nella mia vita Nike, mi ha insegnato sport e disciplina, ero disorientata, tutta per aria, ero dappertutto e da nessuna parte.

Mi sono curata questo male di vivere causato dalle opinioni altrui iniziando a fare sport, tantissimo sport e alimentandomi bene. Poi vedendomi meglio allo specchio le cose sono migliorate. Soffrivo tanto perché le persone avevano capito quelli che potevano essere i mei punti deboli, mi dicevano che ero grassa, che avevo la cellulite o la faccia da scorfano, che ero brutta. Per la faccia non puoi fare molto, ho imparato ad amarla, a toccarla, ad accarezzarla, ho capito che la mia pelle è la mia protezione, la mia corazza, e devo prendermene cura.

Sul corpo, invece, si può fare di più, ma ci vuole impegno. Quando ho iniziato a vedermi meglio grazie allo sport, ho acquisito tantissima confidence e ho iniziato ad amarmi. Bisogna essere più gentili con se stessi, perché tendiamo a trascurarci in questo mondo dove tutto va veloce, ma non possiamo vivere una vita da automi. Bisogna lavorare per stare bene nella propria pelle, a meno che non si è del tutto disinteressati alla questione e allora è ok lo stesso.

Molte ragazzine, però, soffrono perché non hanno il controllo su loro stesse. C’è chi vuole farlo per gli altri e va benissimo, ma è importante rendersi conto che dipendere dagli standard offerti dai social non paga. A volte paga più spegnere il cellulare e fare esperienze vere, scalare una montagna, toccare la terra, fare una passeggiata, trovare un vero scopo. Tutto quello che viene da lì dentro, dalla realtà che si vive attaccati a uno smartphone diventa prima o poi astratto e inesistente. A me i social piacciono. Li uso per lavorare, ma staccare è necessario per riallinearci e capire quali sono le vere priorità».

Ci racconta qual è stato il confronto che le ha fatto più male?

«Se mi ricordassi ogni cosa probabilmente non vivrei più, me ne sono successe di ogni. Quando abbiamo iniziato a usare i social, Facebook, eravamo tutti accanitissimi, mi fotografavano con mia madre, ero sempre sui giornali e andavo a vedere quello che scrivevano, ero una ragazzina, qualsiasi ragazzina lo farebbe, e le cattiverie erano inaccettabili, da lì è nata una paranoia e la convinzione in me che io non andassi bene.

Mi coprivo, avevo crisi isteriche, ogni mattina mi cambiavo mille volte, ho avuto anche disturbi alimentari, quando si è ragazzini non si ha sempre la forza e la capacità di essere disciplinati per fare attività fisica e la via più facile a volte sembra avere un rapporto complicato con il cibo. Ma non è quella la strada giusta, fortunatamente la mia famiglia è sempre stata molto presente e mia madre mi ha aiutata, ne sono uscita e ho avuto il re-bound.

È stato difficile, ho messo peso e l’unico modo per superare è stato iniziare ad amare il mio corpo, perché dovevo stare bene con me stessa. Ancora oggi mi dicono che sono un mostro, da ragazzina me lo dicevano anche a scuola, perché i compagni a quell’età possono essere cattivi. Solo quando ho iniziato a fare sport la situazione è cambiata perché vedermi meglio mi rendeva più forte nei confronti di quello che mi dicevano gli altri e non mi colpiva più nulla.

Avere disciplina e mangiare bene, sempre, tutta la vita è un lavoro, perché non serve una dieta di due mesi e poi basta. Ci vuole tanta dedizione e molta costanza, non lo faccio per moda, lo faccio perché è l’equilibrio che mi tiene così, risolta in un certo senso, è quella cosa che mi da forza e mi fa stare bene.

Adorerei svegliarmi domani e fregarmene del mio aspetto fisico e valorizzare altro, ma non riesco, è una cosa che mi definisce tantissimo e se io non sto bene con me stessa non riesco ad affrontare la giornata con la forza che necessito. Ecco perché mi affido all’attività fisica, da qualche parte bisognerà pur partire».

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