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Spettacolo

Gianni Morandi: ”Lucio Dalla mi chiamava psycho. Bugiardo? No, ma aveva una caratteristica”

Gianni Morandi: ”Lucio Dalla mi chiamava psycho. Bugiardo? No, ma aveva una caratteristica”. Gianni Morandi su Lucio Dalla, il cantante bolognese racconta cinquant’anni di amicizia con l’artista scomparso 10 anni fa in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

Quanto pesano dieci anni senza Lucio Dalla?
«Pesano. Lucio manca, e molto. Manca il grande artista e l’amico. Non c’è giorno che non ci pensi. Per chi lo conosceva bene è come se fosse ancora qui. Te lo vedi uscire da un portone, un bar, una chiesa. Specialmente io che lo conoscevo dal ’63 e l’ultima cosa che facemmo era quel Sanremo del 2012».

Non voleva gareggiare, fu difficile convincerlo?
«Non era tanto il discorso di essere in gara. Aveva altri progetti, pensava alla tournée in Germania. Arrivammo quasi ad alzare la voce. Ma come, gli dicevo, proprio adesso che ci sono io a organizzarlo non vieni? Alla fine venne per amicizia, inventandosi questo ruolo di direttore d’orchestra-cantante».

Quando vi vedeste per l’ultima volta?
«La domenica dopo Sanremo, allo stadio. Fu un Bologna–Udinese, perdemmo uno a zero. Faceva freddo, lui aveva un colbacco in testa, il pellicciotto. Era stanco. Disse: “Sai, ormai ho preso questo impegno all’estero, poi torno, magari faccio dei controlli”. Sarei dovuto andare a trovarlo a Berlino. In Germania ci andammo per il tour di Dalla/Morandi. Invece due giorni dopo arrivò la telefonata di Ballandi. “Gianni, Lucio non c’è più”, mi disse, e non credevo a quello che mi diceva. Uno choc incredibile».

Gianni Morandi: ”Lucio Dalla bugiardo? No, ma aveva una caratteristica”

Sempre amici?
«In questi 50 anni non ci siamo mai persi, né quando io avevo successo e lui faceva fatica, né quando le cose si sono ribaltate, il grande successo arrivato a lui e io ero un po’ scomparso dalla scena».

[…] Dal Bologna alla musica: qual è stato il tramite?
«Mi regalò un disco di Ray Charles. “Tu che senti solo la musica italiana, prova con questo”. All’inizio non lo capivo tanto, ma mi aprì la mente. Voleva avvicinarmi al jazz, il suo pane. Poi venne Gino Paoli a Bologna, al Flamengo, in via Murri, importante all’epoca. Si conobbero e Paoli gli produsse le prime canzoni. Non ebbero grande fortuna».

Come reagiva a quegli insuccessi?
«A quei tempi io arrivavo sempre primo. Fu molto facile partire, solo poi pagai lo scotto. Lui invece arrivava spesso ultimo. Si chiedeva: sarà la barba che devo tagliare? La camicia sbagliata? Ma alla fine se ne fregava. La Rca gli fece un contratto perché aveva capito che era pieno di talento. Oggi se un artista sbaglia un pezzo lo salutano. Prima, ti facevano crescere. Era troppo avanti, Lucio. Non lo capiva nemmeno mio padre che quando veniva a casa nostra a mangiare a Monghidoro, mi chiedeva: “Ma che razza di cantante è questo qui?”».

Ci furono periodi in cui vi siete frequentati meno?
«Quando lui venne a Roma. Bisognava abitare lì, visto che non c’era la tecnologia di oggi e si incideva un 45 giri ogni due o tre mesi. Prese un appartamento vicino a San Pietro. Io ero molto impegnato, giravo l’Italia, la Spagna, il Sudamerica, anche il Giappone. Però ci sentivamo. Anche lui poi partiva, eh? A volte faceva cose un po’ strambe».

Gianni Morandi: ”Lucio Dalla mi chiamava psycho”

Come nel caso del cane Sultan?
«Già. Chissà dove lo aveva trovato questo alano gigantesco. Me lo lasciò spacciandolo per suo, poi lui sparì. Con la storia del cane in effetti ci perdemmo un po’».

È vero che era un gran bugiardo?
«Più che bugiardo, uno che giocava sempre. Diceva sì a tutti. Una volta andai a trovarlo alle Tremiti e in una sera era stato capace di dire che sarebbe andato in un ristorante, a mangiare due spaghetti da un’amica e a vedere una partita al bar. Era un furetto. Ma lo sapevano che era così».

Come siete arrivati alla storica collaborazione del 1988?
«Negli anni Ottanta lui aveva una popolarità straordinaria, non sbagliava un pezzo, fino al trionfo mondiale con “Caruso”, e anche io cominciai a recuperare un po’ tra qualche canzone di successo, le fiction televisive, la vittoria di Sanremo nell’87 con Ruggeri e Tozzi. Successe che poco prima salii sul palco a un concerto di Lucio alla Festa dell’Unità di Bologna davanti a 20 mila persone. Cantai “Occhi di ragazza”. Il lunedì successivo eravamo in studio di registrazione senza avere pezzi. Ci siamo chiesti: che facciamo?».

[…] Ma non litigavate mai?
«Scherza? Litigavamo eccome, specialmente quando lui prometteva di fare cose e spariva. Poi tornava e diceva: “Sono fatto così”. Ma anche io avevo i miei scatti da matto. Tanto che mi chiamava psycho. Ma ci siamo anche tanto divertiti. E spesso per le cose più semplici. Lo stadio, la pizzeria dopo, la musica da ascoltare in macchina. Mi diceva: “Fratello, dove sei? Dobbiamo ascoltare un disco nuovo”. E si partiva in giro per Bologna, o Roma, o dove eravamo».

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