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Alan Sorrenti: “Spinello a Nino Manfredi? Non mi sopportava per un motivo. Droga? Oggi sono un altro”

Alan Sorrenti: “Spinello a Nino Manfredi? Non mi sopportava per un motivo. Droga? Oggi sono un altro”. Alan Sorrenti e lo spinello a Nino Manfredi, il cantautore napoletano, 72 anni, si racconta parlando a tutto tondo dei suoi trascorsi in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

[…] La sua storia parte dall’Italia.
«Da Napoli, dove sono nato e in parte cresciuto. Lì mi sentivo uno straniero, mamma gallese, Gwendoline, detta Gwen, e papà napoletano, Francesco. Indossavo jeans e pellicciotto per mettere insieme le mie anime. In quella città volevo stare il meno possibile. Per fortuna spesso visitavo i nonni nel Galles. Eppoi mia madre lavorava alla Nato di Bagnoli, lì c’era il profumo dei dolci, la musica che arrivava dagli uffici… quando varcavo quei confini trovavo l’America. A 16 anni, per farmi imparare bene l’inglese, mi iscrisse a una scuola privata. A Folkestone, sulla Manica».

Di nuovo: un’altra vita.
«Mi sono tuffato in una realtà diversa. Un mio compagno di classe un po’ ribelle aveva trovato il modo, la sera, per impossessarsi dell’automobile della direttrice. Scendeva giù, in città, e io mi accodavo. Quando si aprivano le porte dei pub ascoltavo la voce di velluto di Otis Redding e le canzoni dei Beatles. Una sera, davanti a un locale di musica dal vivo vidi una fila incredibile, riuscii a entrare e c’erano sul palco tre ragazzi che suonavano. Alla fine del concerto seppi che erano i Cream con Eric Clapton. Quelle erano le onde che mi facevano vibrare».

Alan Sorrenti: “Droga? Ho commesso errori ma oggi sono un altro”

Era un ribelle?
«Sì, ma sono riuscito a contenermi fino a 18 anni. Quando da Folkestone tornavo a Napoli, mi esibivo con I Volti Senza Nome. Andavamo forte. A Londra avevo visto i concerti dei Family. Il cantante a un certo punto prendeva l’asta del microfono e la scagliava contro il pubblico in delirio. Lo copiai, in effetti funzionava».

[…] I suoi genitori erano contenti di questo figlio sovversivo?
«Per me avrebbero voluto altro. Tanto che mi ero iscritto a Medicina. Un esame solo, passato a pieni voti. Gli volevo dimostrare che non ero mica scemo. Però mi lasciavano libero, merito di mamma e del suo spirito democratico. Una sola cosa la sconvolse».

Quale?
«Era terrorizzata che perdessi il mio accento inglese e iniziassi a parlare americano».

E papà?
«Dipendente dell’azienda tranviaria e disegnatore, era più rigido, ma non aveva un carattere forte… lasciava correre. Eppoi da giovane cantava pure lui, incise un disco. Quando, durante la Seconda guerra mondiale, fu imprigionato in Inghilterra lo facevano esibire. Ma la fine del conflitto ridimensionò le sue ambizioni. Credo che la musica faccia parte del dna di famiglia: mia sorella Jenny canta e pure mamma, al college, durante la festa di fine anno, quando si elegge la reginetta del ballo, salì sul palco».

Alan Sorrenti: “Spinello a Nino Manfredi? Strano, non mi sopportava”

È vero che offrì uno spinello a Nino Manfredi?
«Questa proprio non me la ricordo. E mi pare strano che lo abbia fatto, non mi sopportava tanto».

Perché?
«Per qualche anno sono stato fidanzato con sua figlia Roberta. Manfredi era all’apice della carriera, aveva girato un film come Per grazia ricevuta, io ero un ventenne che suonava. Lo capisco, le mie visite a casa sua gli rompevano la concentrazione. Sua moglie Erminia diceva che la mia musica era terapeutica».

Napoli negli anni Settanta era un fiume di creatività. Chissà quanti incontri.
«Con Tony Esposito suonavamo nel magazzino di stufe di mio padre, che pensava sempre a lavorare. Al contrario di me. E poi la Nuova Compagnia di Canto Popolare, Roberto De Simone, Peppe Barra, Eugenio ed Edoardo Bennato. Le storie si intrecciavano. Pino stava al quartiere Sanità, più soul del Vomero, dove vivevo io».

Pino Daniele?
«Lui. Un po’ più piccolo di me, lo incrociavo per le scale di casa mia. Io salivo e lui scendeva, un ragazzo con una gran massa di capelli neri. Andava a suonare con mia sorella. Un paio di mesi prima che morisse mi invitò a un suo concerto a Napoli. Ero contento di riabbracciarlo dopo tanti anni. Una persona piena di entusiasmo e progetti. Dietro le quinte mi confessò che voleva ricreare il Neapolitan Power».

In America come c’è finito?
«Andai con il produttore Corrado Bacchelli per incidere il mio terzo album. Fu un viaggio rocambolesco. Non avevamo mica soldi, allora prendemmo un aereo da Roma a Lussemburgo, poi ci fermammo a Bruxelles, da lì fino a Reykjavik, in Islanda, dove nevicava così forte che siamo rimasti bloccati per un giorno. Alla fine riuscimmo a volare a New York. Mi spiazzò, sembrava Napoli con i grattacieli. Dormimmo al Chelsea Hotel, quello frequentato da Bob Dylan, Leonard Cohen e Janis Joplin. L’impatto fu insolito e spettacolare: mi trovai di fronte il grande jazzista Sun Ra. Era con la sua tribù, una folla di persone. Pensai: questo viene da un altro mondo».

Alan Sorrenti: “Figli delle stelle non è nata all’improvviso”

[…] Nel ’77 scrisse Figli delle stelle.
«Non è nata all’improvviso, ma l’ispirazione arrivò in America. Ero nelle stelle non soltanto in senso fisico, prendevo parecchi aerei, ma anche per l’energia e la magia che trasmetteva Los Angeles. Quell’anno uscì Star Wars di George Lucas, feci la fila a un cinema, il Sunset Boulevard era un luccichio continuo. In Italia la presentai per la prima volta al Divina di Milano, un club gay. Quella sera c’era anche Grace Jones che cantava la Vie en Rose. Per me quella canzone rimane una rivelazione, sono ancora un figlio delle stelle».

Il successo le ha sballato l’esistenza?
«Volevo gestire la mia vita e non ci riuscivo più. All’inizio la fama è un gioco divertente, un bel film di cui sei il protagonista. Dopo viene fuori una follia autodistruttiva, cominci a essere così incasinato e fatto che non puoi più creare quello che vuoi».

Nell’83 la sua ex moglie l’accusò di uso e spaccio di stupefacenti. Ci fu il processo, la condanna.
«Nella vita si fanno degli sbagli. Ma dopo il vuoto, nell’88, ho cominciato una rivoluzione umana, sono diventato buddhista della Soka Gakkai International. Da quel momento c’è un altro Alan».

Un errore che non rifarebbe?
«Non mi sposerei». Ride e aggiunge: «Ora lo farei con la mia luce magica, la mia compagna Barbel: una cerimonia speciale, niente di civile o religioso».

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