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Santo Versace: “Donatella un dono che ha riempito un vuoto. Dopo quello che è successo a Gianni mi sono un po’ perso”

Santo Versace: “Donatella un dono che ha riempito un vuoto. Dopo quello che è successo a Gianni mi sono un po’ perso”. Santo Versace su Donatella, Gianni e non solo, l’imprenditore calabrese, 80 anni, si racconta ripercorrendo le tappe della sua vita privata e professionale in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

[…] immagine della sua infanzia?
«La morte di mia sorella Tinuccia, avevo quasi 9 anni. Io e Gianni eravamo stati mandati dai parenti. Il feretro fu trasportato dai cavalli, a quei tempi non si usavano le auto: noi camminavamo a piedi dietro la bara bianca. Era il 1953».

Due anni dopo è nata Donatella.
«Un dono che ha riempito un vuoto. Quando aveva 5 anni io giocavo a pallacanestro in serie B, quando mi sono iscritto all’università lei aveva 8 anni, quando mi sono laureato in Economia e commercio lei era in terza media: fu l’unica presente della mia famiglia, quel giorno, me l’ero portata dietro a Messina».

E Gianni dov’era?
«Lui aveva convinto nostra madre ad aprire la boutique a Reggio Calabria. Faceva di tutto: il buyer, il commesso, il capo operativo. Era il miglior venditore».

Quest’anno, a dicembre, compirà 80 anni.
«No, ne compio 20 per la quarta volta».

Santo Versace: “Donatella un dono che ha riempito un vuoto”

Certo. Ha fatto tante cose: di quale è più orgoglioso?
«I primi 32 anni sono stato a Reggio, dove avevo aperto uno studio da commercialista. Era una vita fantastica, ancora con la famiglia. Però l’esperienza più significativa è stata senz’altro creare un’azienda dal nulla a livello mondiale e poi difenderla, dopo la morte di Gianni».

L’idea della casa di moda fu sua.
«Dissi a Gianni che avremmo fatto meglio di Yves Saint Laurent. Carlo Tivioli, il suo compagno di allora, replicò che ero un pazzo».

Invece aprì 120 boutique in tutto il mondo.
«Il primo giro del mondo lo feci per l’apertura a Sydney, nel 1982. Il 4 gennaio da Milano andai a Fiumicino, poi ad Atene, Calcutta, Bangkok, e il 6 arrivai in Australia. Dopo volai a Melbourne, di nuovo a Sydney e da lì tornai indietro: una notte a Los Angeles, una a San Francisco, una a New York, una sull’Oceano Atlantico, una giornata a Parigi e il 16 ero a Milano».

[…] Le top model come le vedeva?
«Costosissime! Io ero sempre lì a litigare sui costi, sui prezzi, su tutto. Ma era fantastico! Era un momento particolare, la follia che attraversava la famosa Milano da bere, della creatività, del design. Stava cambiando l’immagine dell’Italia nel mondo, Der Spiegel ci raffigurava in copertina con gli spaghetti e la P38».

C’erano Naomi Campbell, Linda Evangelista, Cindy Crawford e Christy Turlington.
«Costavano 15 mila dollari a sfilata. Ma quando le chiamavi apposta per un evento dovevi pensare a tutto: aereo in first class, hotel di lusso per cinque notti… Alla fine il cachet lievitava».

Con gli altri stilisti vi facevate la guerra?
«Era bello avere dei competitor così forti, perché ti spronavano a dare il massimo. Ma ognuno poi pensava a sé, non stava a guardare gli altri».

Che ricordi ha con loro?
«Quello indelebile con Valentino e Giammetti è del giorno in cui è stato ucciso Gianni. Io, Donatella ed Emanuela Schmeidler siamo corsi a Ciampino per prendere l’aereo privato e li abbiamo trovati lì all’aeroporto per abbracciarci».

E di Giorgio Armani cosa dice?
«Semmai cosa ha detto lui di me!».

Che a Gianni invidiava suo fratello Santo.
«Lo scorso anno l’ho incontrato due volte: a Milano, alla presentazione del film The Inside Story of Italian Fashion, e a Venezia, alla sua sfilata. In entrambe le occasioni ero con mia moglie Francesca. Negli anni 90 dai calendari delle sfilate ti rendevi conto che Milano era forte per i suoi due alfieri: Gianni apriva e Armani chiudeva. Uno rinforzava l’altro, ognuno voleva essere il più bello e il più bravo, ma ognuno lavorava per sé. In mezzo c’era una ricchezza bellissima: Ferré, Krizia, Missoni, Fendi. Un grande fervore».

Santo Versace: “Dopo quello che è successo a Gianni mi sono un po’ perso”

[…] Quel 15 luglio 1997 aveva cambiato tutto.
«Non riuscivo a credere che fosse morto. È toccato a me il riconoscimento all’ospedale, non ci volevano far entrare. Poi, quando ho toccato la testa di Gianni, ho ritratto la mano piena di sangue: lì ho capito che non c’era più. Ho spinto io la bara dentro il forno crematorio: mi restituirono un sacchetto di cenere così piccolo».

[…] È sempre stato un uomo di fede?
«Da ragazzo ero boyscout. Da adulto mi sono allontanato. Soprattutto dopo quello che è successo a Gianni mi sono un po’ perso. Ma grazie a Francesca ho ritrovato la fede: andiamo a messa tutte le domeniche e nei giorni festivi. Si lavora per il paradiso, lo si cerca per tutti i parenti».

Anche per Donatella?
«Lei è la prima: è mia sorella».

Quando l’ha vista l’ultima volta?
«Mi appello al Quinto Emendamento».

Possiamo considerare il suo rammarico più grande non aver compiuto la fusione con Gucci?
«È la cosa che mi ha addolorato di più, dopo la morte di Gianni. Eravamo pronti. Sarebbe nato un gruppo fantastico, avremmo avuto il tempo e la forza di farlo crescere: con lui ci sarebbero stati Tom Ford e Domenico De Sole. Era un punto di partenza, non di arrivo».

[…] Ora si dedica alla Fondazione Santo Versace.
«Me ne occupo con mia moglie. La cosa più bella l’abbiamo fatta a Fabriano, il giorno dell’Immacolata, alla messa per i 25 anni dell’ordinazione sacerdotale del nostro padre spirituale, don Aldo Bonaiuto».

[…] Francesca De Stefano le ha ridato il sorriso.
«Abbiamo aspettato luglio scorso per sposarci in chiesa: se avessi saputo che sarebbe stato così emozionante lo avrei fatto prima!».

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