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Spettacolo

Kaze da infermiera a star: “Post buio è periodo più brutto e più bello della mia vita. L’Italia è stata la svolta”

Kaze da infermiera a star: “Post buio è periodo più brutto e più bello della mia vita. L’Italia è stata la svolta”. Kaze da infermiera a star, la cantante e attrice italo africana (all’anagrafe Paola Gioia Kaze Formisano), 27 anni, si racconta nel suo primo disco “Post buio” dove ripercorre le tappe della sua vita. Ne parla in una intervista a ‘Tv Sorrisi e Canzoni’ della quale vi proponiamo alcuni passaggi.

Cosa significa “Post buio”?
«Ho pensato a lungo al nome che avrebbe dovuto avere questo disco, volevo trovare una via di mezzo che descrivesse la fine della notte nell’attimo prima delle luci dell’alba, che rappresentasse quindi contemporaneamente passato e presente. “Post Buio” incarna perfettamente come questo disco sia nato in un periodo difficile ma allo stesso tempo abbia rappresentato il mio primo periodo di luce, che per me è riuscire a fare ciò che sogno e voglio nella vita».

Hai associato il “Post buio” al momento in cui ti sei licenziata alla fine di un turno dopo aver deciso di volerti dedicare solo alla musica. Fare l’infermiera nel periodo di pandemia ha influito anche sul tuo percorso artistico?
«Sicuramente mi ha permesso di andare a fondo e guardare oltre ogni aspetto superficiale nella mia musica. Ho potuto amplificare sensazioni e sentimenti che senza quell’esperienza non avrei neanche mai provato. Per quanto dolorosa e inaspettata per tutti, la pandemia mi ha dato l’opportunità di mettermi in gioco nel mio lavoro mettendo in pratica ciò che avevo studiato per anni per aiutare gli altri. Se tornassi indietro lo rifarei perché mi ha insegnato l’empatia, comunicare con le persone oltre il contatto e le parole».

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Da quel momento ad oggi, quali consideri le tappe più importanti del tuo percorso artistico e personale?
«Sicuramente il trasferimento in Italia ha influito tanto sulla mia persona e di conseguenza su tutti i miei lati artistici. E per quanto vorrei non fosse così, anche la perdita di mio padre è stata un avvenimento fondamentale per la mia maturazione personale, sono cresciuta in un giorno come in cinque anni; nonostante tutto mi ha resa forte, non sarei chi sono ora se non fosse accaduto. Da un punto di vista strettamente artistico invece credo che i miei punti di riferimento siano stati, più che avvenimenti, persone. Wolfgang e Pier, il mio manager, sono stati i primi ad ascoltarmi, a darmi una mano anche quando non avevo niente da offrire o non ero all’altezza di ciò che mi stavano dando. Si sono fidati anche quando sapevo di non essere pronta, vedendo in me qualcosa che prima non pensavo potesse esistere».

Con Wolfgang hai anche prodotto questo disco, che spazia non solo tra lingue ma anche tra generi. Quali sono le tue maggiori influenze?
«Ho sempre ascoltato tanto r&b e soul, ma ho poi esplorato sempre più generi. Penso sia limitante chiudermi in un genere solo e per questo in “Post Buio” ho deciso di sperimentare. Non mi piace pensare di fare sempre la stessa musica per non deludere chi ascolta. Chi mi apprezza davvero come artista farà il viaggio e crescerà con me. Trovo sbagliato chiudersi in funzione di ciò che piace agli altri, rende meno veri».

Kaze da infermiera a star: “Post buio è periodo più brutto e più bello della mia vita”

In questo disco parli molto della ricerca di un posto dove sentirsi al sicuro. “Post Buio” può essere un tassello per arrivarci?
«Ho sempre detto che non mi sento a casa da nessuna parte, ho vissuto talmente tanti traslochi da non ricordarmi la sensazione di essere nel posto giusto, neanche ripensando al Burundi. Negli anni ho imparato a trovare riparo nelle cose che mi piacciono, nelle persone che amo. Ma è questo disco l’unico posto in cui sono riuscita a mettere ciò che mi ha segnato negli anni e che non ero riuscita a processare nelle case in cui ho vissuto. Ora posso dire tranquillamente che “Post Buio” è la mia prima casa, il mio posto giusto, perché l’ho curato nei minimi dettagli affinché mi rispecchiasse fino in fondo».

Hai sempre parlato del fatto che i primi e più grandi problemi di “adattamento” li hai riscontrati qui in Italia, anche per la mancanza di un modello di riferimento adeguato. Pensi che questa cosa stia cambiando?
«C’è molta più comunicazione e credo che le cose stiano effettivamente cambiando per questo. La diversità sta trovando un modo di esprimersi, apro i social e vedo parlare le persone delle proprie esperienze, varrà sempre di più dei brand che assumono una persona su dieci per rappresentare la diversità».

Kaze da infermiera a star: “L’Italia è stata la svolta”

[…] Tu hai modo di vivere la diversità da più punti di vista nel mondo dello spettacolo. Ritieni che ci siano ancora stereotipi e pregiudizi?
«Purtroppo penso di sì. Non solo per il colore della pelle, ma anche per la forma fisica, il genere. Raramente i personaggi femminili sono imponenti quanto quelli maschili, e sono spesso rappresentati più per stereotipi che per sfumature. Lo spettacolo è un’arte che dovrebbe rappresentare la realtà, ma troppo spesso “appiattisce” i personaggi per gli aspetti esteriori».

Come hai vissuto nel tuo lavoro questa problematica?
«Per ora sono stata fortunata, lavoro prevalentemente con donne e posso dire di sentirmi “protetta” sotto questo aspetto. Vivo tante situazioni di mansplaining, mi è capitato spesso di non essere presa sul serio. È diventata quasi un’abitudine pensare di saper fare le cose meglio di chi le ha pensate, pretendendo di indossare i progetti di qualcun altro. Poi c’è anche un grande fattore di “incredulità” ogni volta che una donna crea da sola; ancora oggi mi viene chiesto più volte se sia effettivamente io a scrivere i miei testi come se non fossi in grado di fare altro che cantarli in quanto donna».

È appena uscita la seconda stagione di “Call my agent” e Sofia, il personaggio che interpreti, è riuscita a trovare i suoi spazi e maturare. Sei riuscita a crescere con lei?
«Sofia è un personaggio che mi ha dato molto più di quanto io abbia dato a lei. Mi ha permesso di avere più sfaccettature, perché si esprime ed emancipa sempre di più come donna. Mi hanno sempre insegnato ad essere gentile, piacevole per forza; Sofia invece mi ha “dato il permesso” di arrabbiarmi e dire di no quando qualcosa non mi sta bene; ho imparato a far valere le mie idee, a esternare le mie emozioni e opinioni. È un personaggio che mi ha lasciato tantissimo».

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