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Televisione

Gerry Scotti si racconta: “Per una scelta i miei genitori non mi parlarono per 3 anni. Ricordo un’esperienza negativa”

Gerry Scotti si racconta ripercorrendo le tappe della sua vita privata e professionale in una intervista rilasciata ai microfoni de ‘Il Corriere della Sera’

Gerry Scotti si racconta: “Per una scelta i miei genitori non parlarono per 3 anni. Ricordo un’esperienza negativa”. Il conduttore ripercorre le tappe della sua vita privata e professionale in una intervista rilasciata ai microfoni de ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

Ma come è iniziata la scalata al successo? «Vengo da una famiglia che aveva ben chiaro il concetto di lavoro. È una delle prime cose che mi hanno insegnato, anzi inculcato nella mia vita» racconta. Suo nonno paterno era un contadino e ritiene che «ancora adesso sia uno dei lavori più faticosi, più impegnativi di tutta la terra», mentre il nonno materno era un panettiere «e si svegliava alle 3 di notte per impastare e infornare il pane». Era abituato a vedere la fatica stampata suoi loro volti.

«O vedevo un nonno stanco che tornava dalla campagna o un nonno stanco perché si alzava alle 3 notte. Così mio padre, per scappare da quei due destini ha deciso negli anni ‘60 di andare a Milano a fare l’operaio alle rotative del Corriere della Sera».

Non sa spiegare se fosse stata la scelta migliore, ma per questo Gerry gli è grato, «perché se non fossi andato a Milano non avrei avuto tutte le opportunità che ho avuto nella mia vita, non voglio mancare di rispetto alla mia provincia di origine ma il mio paesino era proprio piccolo. Grazie al sacrificio di mio padre ho potuto fare le scuole a Milano: le elementari in via Polesine, le medie in piazzale Istria e il liceo Carducci in via Beroldo. Poi l’università statale a Milano che però non ho terminato».

Gli mancavano solo due esami e la tesi in Giurisprudenza e con rammarico confessa di non «aver preso il famoso “pezzo di carta”».

I lavoretti estivi
Con estremo piacere invece ricorda tutti i lavoretti durante le pause estive. Il primo fu in un’azienda che stampava guarnizioni in cartone pressato per televisioni e per radio. «Guarda i casi della vita! — e racconta — prendevo dei grossi fogli di cartone, li insaponavo e li portavo con un carrello all’operaio che poi li doveva stampare. A 16 anni con quei soldi sono andato a Lignano Sabbiadoro di cui ho dei bei ricordi».

Quando aveva già la patente, dopo il diploma, la libreria di fronte al liceo Carducci lo aveva contattato per la consegna dei libri: «Fine agosto inizio settembre ti mandavano a prendere i libri dalle case editrici e poi li portavamo indietro. Era una staffetta che ho fatto con grandissimo piacere per soli 10-15 giorni all’anno» […]

La radio
Galeotto fu l’anno dopo. Era il primo anno di università che Massimo, il suo ex compagno di banco del liceo lo chiama e gli dice: «guarda che a Cinisello hanno aperto una radio e cercano una persona che al mattino metta in ordine i dischi che usano il giorno prima perché resta in giro una gran confusione ma chiaramente deve un po’ intendersi di generi musicali. Ti danno 500 lire al giorno, devi fare solo 3 chilometri da casa…».

E così ha accettato quel lavoro e dopo un mese, una mattina lo speaker non si presenta e il proprietario della radio apostrofandolo gli dice: «Sai parlare italiano, studi all’università, cosa ci vuole? Apri il microfono, dì qualcosa tu».

Quel giorno «è andato benissimo e ho fatto un annetto in quella radio di periferia (Radio Hinterland Milano 2). Poi mi hanno chiamato quelli di Radio Milano International, che era la radio più storica, più importante di Milano. È come se io, giocando nel Cinisello fossi stato chiamato a San Siro dal Milan. Da un giorno all’altro mi sono trovato proiettato nella più grande radio di Milano e ho capito che quella forse sarebbe stata la mia strada».

La parentesi della pubblicità
A distrarlo dalla radio, a 21 anni, c’è stata una parentesi curiosa che poteva cambiare la sua vita. «Quando pensavo che la radio sarebbe stata il mio mondo tornando dal servizio militare, un amico che lavorava in pubblicità mi disse, verresti a fare un colloquio col mio capo?».

Era la McCann Erickson, una delle più grandi agenzie americane di pubblicità in Italia. «Il direttore artistico Alberto Cremona, mi dice: ma le stupidaggini che dici alla radio le scrivi tu o te le scrive qualcuno? Mi hanno assunto il giorno dopo».

Così ha fatto il copywriter per 3 anni «fino a quando Cecchetto non mi ha convinto nell’82 a lasciare definitivamente un lavoro serio e sicuro per fare il disc jockey. I miei genitori non mi hanno parlato per 3 anni. Avevano già incassato la delusione di non essermi laureato figuriamoci l’aver abbandonato il posto fisso!».

Una scelta difficile da prendere e da accettare. «Devo molto a quel mondo perché quando ho accettato di fare la tv commerciale avevo già un linguaggio pubblicitario proprio per la mia formazione».

Perché passare dalla radio alla tv? «È stata la scelta più sofferta. Io e Cecchetto abbiamo creato dal niente Radio Deejay. L’ho ringraziato più volte perché ha creduto, prima di me, che io potessi diventare un personaggio anche televisivo. Devo tutto a questa decisione anche se dolorosa. L’impatto economico era talmente diverso che non potevo fare diversamente».

La parentesi parlamentare invece, non la ricorda con piacere: «È stata un’esperienza negativa dove mi rendo conto di aver dato poco e ricevuto nulla».

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