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Spettacolo

Lello Arena si racconta: “Scoppiai a piangere al mio esordio, mi dissero di smettere. Quando conobbi Massimo Troisi…”

Lello Arena si racconta ripercorrendo le tappe della sua carriera, e non solo in una intervista rilasciata ai microfoni de ‘Il Mattino’

Lello Arena si racconta: “Scoppiai a piangere al mio esordio, mi dissero di smettere. Quando conobbi Massimo Troisi…”. L’attore napoletano ripercorre le tappe della sua carriera in una intervista rilasciata ai microfoni de ‘Il Mattino’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

Dove andava a scuola?
«Dalle Suore della Carità in via Pietro Trinchera. Lo devo a loro se sono diventato attore».

Il primo provino.
«Avevo otto anni. Le monache decisero di fare verificare le mie attitudini a una maestra che scriveva racconti per bambini. E si occupava di teatro. Si chiamava Lea Maggiulli Bartorelli, in arte Zietta Liù».

E come andò?
«Malissimo. Dovevo fare O marenariello, in equilibrio su una barchetta di cartone, ma la scena mi sembrò così triste che non riuscii a resistere e, anziché recitare, scoppiai a piangere. Zietta Liù non ebbe dubbi: Questo bambino non potrà mai fare l’attore, è troppo sensibile».

Subito una stroncatura.
«La prima di una lunga lista. Sapete quale è la cosa che mi è stata detta più spesso a teatro? Di smettere».

Lei invece non ha mai mollato.
«A dodici anni la mia famiglia si trasferì a San Giorgio a Cremano. Era solo a dieci chilometri da Napoli, ma non la presi per niente bene. Ero convinto che lasciare la città avrebbe reso ancora più complicato il mio percorso da attore».

Non fu così?
«Esattamente il contrario».

Perché?
«Nel teatro della parrocchia conobbi Massimo Troisi, avevamo poco più di tredici anni. Ricordo ancora il nostro primo incontro».

Racconti.
«Dovevamo organizzare uno spettacolo per la comunità, uno degli attori si ammalò. Cercavamo con urgenza qualcuno che potesse sostituirlo, quando il regista ebbe un’idea».

Quale?
«Perché non prendiamo quel ragazzo che abita qui dietro? Mi disse quello che si lamenta sempre perché alle assemblee di classe, quando parla lui, ridono tutti».

Si trattava di Massimo Troisi.
«Era uno studente molto attivo politicamente. Però, ogni volta che apriva bocca, per quel suo stile strampalato di spiegarsi, gli altri ridevano anche se stava esprimendo concetti tutt’altro che divertenti. E lui se la prendeva assai».

Non gli piaceva l’idea di fare il comico?
«In realtà non pensava manco che avrebbe fatto l’attore. Ma che vita mi aspetta se la gente non mi prende mai sul serio…, lo diceva sempre».

Però accettò di sostituire l’attore ammalato?
«L’idea gli piacque subito, doveva interpretare un salumiere. Era pure molto emozionato. Il giorno dello spettacolo arrivò prima di tutti e mi disse: Lello, ho studiato il copione a memoria, so l’ordine preciso preciso. Entra in scena e inizia: Ci sta o’ salame, poi o’ capocollo e poi… Anzi no. Mi guarda. Sssscusate, aggio sbagliato. Cioè, prima ci sta o’ capocollo e poi o’ salame. O forse no…. E via così».

Risate a crepapelle.
«Il risultato fu che, ostinandosi nel cercare di ricordare l’esatto ordine del copione, la scena che doveva durare venti secondi durò venti minuti. Un successo strepitoso».

Sarà stato contento il regista.
«Massimo anche di più. Mi guardò e disse: Ssscusa Lello, ma questo è o’ teatro?. E io: Più o meno. E lui: Posso venire qualche altra volta?».

Così cominciaste a lavorare insieme.
«Macché. Per otto mesi sparì. Rispuntò alle due di un pomeriggio di agosto, caldo soffocante. Bussò al citofono: Ti ricordi di me? Sono Massimo Troisi, posso salire?. Gli dissi: Hai scelto il momento sbagliato: non si respira e non ce la faccio manco a parlare, torna un’altra volta».

Poi però arrivarono i tempi de La Smorfia.
«Mia madre non ci poteva pensare. Diceva sempre: Ma dove vi avviate? State perdendo solo tempo».

E perché?
«Eravamo brutti, secondo lei per fare l’attore o eri bello come Cary Grant, o niente».

Poi avrà cambiato idea.
«Ricordo ancora un pomeriggio che eravamo tutti a casa davanti alla tv: la Rai trasmetteva un programma registrato con noi della Smorfia. E mia madre: Ma secondo te è un mestiere sta cosa che fai? Tu pure ti ritrovi in mezzo alla via».

Ottimista, la mamma.
«E questo era ancora niente. Una sera vennero tutti a vederci al teatro Metropolitan, in sala c’erano tremila spettatori paganti. Un successo enorme. Non le bastò manco questo: Oggi è così, domani amma verè ancora».

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