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Greta Scarano: “Ilary Blasi? Ho chiesto a lei per la parte. Ha soprattutto due qualità”

Greta Scarano su Ilary Blasi, l’intervista a ‘Io Donna’

Greta Scarano: “Ilary Blasi? Ho chiesto a lei per la parte. Ha soprattutto due qualità”. L’attrice che impersona la moglie di Francesco Totti nella fiction ‘Speravo de morì prima’, si racconta a ‘Io Donna’

«Mi avevano messo in guardia: ma sei sicura che sia il caso? Sicura sicura?». In effetti, impersonare Ilary Blasi, che gli italiani conoscono così bene…
«Io non ci ho proprio pensato. Mi sono innamorata della sceneggiatura di ‘Speravo de morì prima’. Neppure per un secondo ho calcolato che – fra l’altro – potesse provocare un po’ di caos, ambientata com’è nel mondo del calcio pieno di tifoserie e di controversie, dove ognuno dice la sua. Ilary è intelligente e tosta, genuina e simpatica, con la risposta pronta. Ho scoperto che viene dal mio stesso quartiere, il Portuense, periferico però non lontano dal centro. A Roma abbiamo accenti diversi a seconda della zona».

Partiva avvantaggiata.
«Sì, comunque non intendevo fare l’imitazione. Ho guardato le interviste e il materiale video, ma – avendo parecchie scene nel privato – me la sono dovuta immaginare in casa con Francesco, e ho chiesto aiuto direttamente a lei».

Cosa le ha suggerito?
«Per la verità, quando ci siamo viste ho parlato di più io! Volevo assicurarmi di averla capita bene: il suo essere in carriera e al tempo stesso madre presentissima; restare coi piedi per terra malgrado il successo e un marito idolatrato; la sua ironia, prendere in giro Totti sin dall’inizio della loro storia: “Dai, siamo una macchietta ambulante, il calciatore e la valletta!”».

Greta Scarano: “Ilary Blasi è del mio stesso quartiere”

[…] Suo padre è medico, no?
«Da un lato c’era lui che era stato timido e voleva che le figlie non avessero le sue stesse difficoltà; dall’altra c’era mamma, infermiera, dalla personalità istrionica, che ci voleva disinvolte, brave a parlare. Ho continuato le lezioni fino ai 10-11 anni. Durante l’adolescenza – grazie a uno dei miei migliori amici, aspirante regista – ho scoperto il cinema. E lì ho realizzato che, in definitiva, mi interessava più la regia che la recitazione. A 16 anni ho diretto una marea di corti».

Di che genere?
«Per teenager (all’epoca guardavamo la serie Dawson’s Creek) oppure horror o un mix dei due. Ricordo che una volta costrinsi le mie amiche a girare un inseguimento notturno al mercato di Testaccio, riprendendo solo i loro tacchi sul selciato. Vabbe’! A 18 anni ho tentato di entrare all’Accademia nazionale d’arte drammatica come regista: mi hanno scartata. Allora, a 19, ho provato al Centro sperimentale di cinematografia come attrice: per me erano due declinazioni diverse della stessa voglia di raccontare».

E lì l’hanno presa.
«No. Non ho finito le selezioni perché ho ottenuto una parte in Un posto al sole: l’idea che mi pagassero per stare sul set era un sogno, una fortuna incredibile».

Quanto c’entra la fortuna nella costruzione di una carriera?
«Tantissimo. E spesso c’entra pure “al rovescio”: quando non sono stata scritturata per una parte che bramavo (e ci ho versato sopra un sacco di lacrime!), guardandomi poi indietro ho capito che la vera fortuna sono stati quei “no”: le occasioni si sarebbero rivelate un’arma a doppio taglio. Non sostengo che esista il destino e che tutto sia già scritto (guai!), eppure è come se uno le cose se le “chiamasse”».

Greta Scarano: “Ilary Blasi ha soprattutto due qualità”

Secondo Jung le coincidenze non esistono.
«Non oserei contraddire Jung (ride), ma ci sono talmente tante componenti che costruiscono un percorso. Se un giovane attore mi chiedesse come si diventa famosi non saprei che cosa dirgli, però saprei suggerirgli la strategia sulla lunga distanza: preparazione e professionalità al primo posto (cavoli, è un mestiere, non uno scherzo!), giusta umiltà (non falsa modestia, eh), capacità di ascoltare le critiche per crescere, equilibrio (niente arroganza e, nel contempo, niente piedi sulla testa). Io sono sentimentale, non un cyborg (è fantastico vivere con pathos la professione), però sono saggia».

Una conquista?
«No, sono realista per natura , presente a me stessa e razionale. L’unico cambiamento è una certa proattività: adesso cerco di mettere insieme progetti e, se trovo un libro che mi convince, mi attivo per comprare i diritti. Mi diverte da morire: dipendere dalla decisione altrui – e arrivare come ultimo tassello del cast – non mi è mai garbato».

La strategia di Nicole Kidman, auto-prodursi per assicurarsi ruoli significativi a ogni età. Però lei è giovane per preoccuparsi.
«Anche nella mia generazione c’è un discreto gender gap riguardo ai ruoli, quelli femminili sono più limitanti: fidanzata-moglie-madre. Tra 10 anni spero di aver continuato come attrice ma anche di aver prodotto qualcosa. E – chissà? – magari diretto».

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