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Spettacolo

Vessicchio si racconta: “Io bisnonno a 68 anni. Da architetto a musicista grazie a una frase di mio padre”

Vessicchio si racconta: “Io bisnonno a 68 anni. Da architetto a musicista grazie a una frase di mio padre”. Il maestro Beppe Vessicchio si racconta, il musicista napoletano ripercorre le tappe più significative della sua vita privata e professionale in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

[…] Musicista, compositore, direttore d’orchestra tra i più amati, personaggio televisivo. Che cosa, nella sua vita, «chiude il cerchio»?
«Il fatto che la musica, dopo tanto tempo mi diverta ancora. Vede, io amo i dilettanti perché nei loro occhi scorgo una luce che nei professionisti si è spenta. Divertitevi, divertiamoci, coltiviamo le cose per diletto. È la raccomandazione che da sempre faccio a mia nipote Teresa e che presto farò anche alle mie due bisnipotine, Alice e Caterina».

Un bisnonno giovane, di appena sessantacinque anni…
«Teresa ne ha 25 e delle due bisnipotine una ha poco più di un anno, l’altra pochi mesi. Ma io ho capelli e barba bianca, sono in quella fase della vita in cui si pensa alle restituzioni. Non parlo di cose materiali, ma di quella vocazione a distribuire qualcosa di quello che si è guadagnato. Esperienza, doti, cose imparate».

Quasi un antidoto all’egoismo che a volte riveste le persone non più giovani come una corazza?
«Per quello c’è il divertimento, la passione. Non è mica facile essere fedeli alle proprie passioni, sa. Pensi che io ho studiato per fare l’architetto e per un lungo periodo della mia giovinezza ho fatto tardi la sera per suonare e mi sono alzato all’alba per studiare».

Vessicchio si racconta: “Da architetto a musicista grazie a una frase di mio padre”

E poi?
«Fu mio padre ad aprirmi gli occhi. Un giorno mi disse: “Ma se ti laurei, poi farai l’architetto?”. D’istinto risposi di no, forse era la prima volta che lo pensavo. E lui allora mi consigliò: “Be’ ma a questo punto segui la strada della musica con lo stesso impegno che stai mettendo nello studio dell’architettura”. Consiglio prezioso, una strada saggia che ho sempre cercato di mettere in pratica sia con mia figlia che con mia nipote».

E presto anche con Alice e Caterina.
«Io spero che sia loro che i tanti giovani che seguono il mio lavoro non perdano mai di vista il vero motivo per cui si fa qualcosa. Specie se, come me, ci si occupa di musica, di arte. Vedo tanta ansia di concretizzazione: fama, stabilità, soldi. Così però ci si inaridisce. Posso raccontarle un aneddoto?».

Certamente.
«C’è stato un momento della mia carriera in cui lavoravo moltissimo e soprattutto in televisione. C’era la serialità di Amici e di tanti altri programmi, una popolarità diffusa, capillare. Lusinghiera, non lo nascondo. Ma io sentivo che mi stavo immettendo in un’autostrada in cui facevo le cose per un senso di inerzia, per dovere, per lavoro. Poi, a un certo punto, la serialità televisiva si interruppe. Per tanti motivi, incluso un sano ricambio di personaggi. In un primo momento rimasi spaesato, senza equilibrio. Ma dopo mi sono accorto che senza quel senso di ripetitività potevo fertilizzare la mia musica. E così ho ripreso in mano un pezzo che avevo cominciato a comporre da ragazzo, ho iniziato delle collaborazioni, magari meno stabili ma che mi danno tanta soddisfazione».

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