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Salute

Polipillola ipertensione, dall’Australia la super pillola che cura la patologia

Polipillola ipertensione, dall’Australia la super pillola che cura la patologia. Quello dell’ipertensione è un problema silenzioso e, soprattutto, pericoloso. Questo perché non tutti si rendono conto di avere questo tipo di problemi e non tengono sotto controllo la pressione. O magari si accontentano di abbassarla un po’ senza arrivare all’obiettivo indicato dalle linee guida europee, che è 130/80 mmHg.

Ma uno dei maggiori problemi dell’ipertensione, è il fatto che per riportarla a livelli ragionevoli, in genere è necessario assumere due o più molecole diverse. La maggioranza inizia la terapia e si ferma a una sola compressa. Una possibile soluzione al problema arriva dall’Australia, dove un gruppo di ricercatori ha realizzato la polipillola.

Si tratta di una pillola che racchiude diverse molecole in un’unica compressa. Se ne parla da vent’ anni ma adesso il Quartet, studio di fase 3 presentato all’ultimo congresso della Società europea di cardiologia e pubblicato su Lancet, conferma la validità di questa strategia.

Il lavoro è stato condotto su 591 pazienti ipertesi, scelti per ricevere una polipillola, contenente quattro farmaci antipertensivi (irbesartan, amlodipina, indapamide, bisoprololo) a bassissimo dosaggio, o il trattamento con una singola molecola. Ebbene, i soggetti trattati con la quadpillola, a distanza di 12 settimane mostravano un buon controllo pressorio nell’80% dei casi, contro il 60% del gruppo dei pazienti trattati con un solo farmaco.

Polipillola ipertensione, dall’Australia la super pillola

Secondo gli autori una strategia di trattamento precoce con un’associazione di quattro molecole ad un quarto del loro dosaggio pien,  è in grado di ottenere e di mantenere nel tempo un miglior controllo rispetto all’approccio abituale, consistente nell’iniziare con un farmaco antipertensivo.

«Il nostro studio è stato il primo a dimostrare che i benefici della polipillola si mantengono a lungo, anche a distanza di un anno, senza mostrare flessioni», ha detto Clara Chow dell’Università di Sydney.

La nuova strategia è indirettamente supportata anche dalle ultime linee guida dell’Organizzazione mondiale della sanità, pubblicate questa settimana, che consigliano di iniziare la cura con un’associazione di almeno due molecole, anziché una sola.

«Nei Paesi che hanno a disposizione centri specialisti di alto livello e dove i pazienti hanno accesso a tutti i farmaci esistenti un risultato come quello ottenuto da questo studio potrebbe tradursi in una riduzione del 20% del rischio di infarti e ictus», ha concluso Emily Atkins dell’Università di Sydney.

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