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Spettacolo

Ronn Moss: “Italia? Un aspetto mi ha sconvolto. Ho capito di essere Ridge in un preciso istante”

Ronn Moss: “Italia? Un aspetto mi ha sconvolto. Ho capito di essere Ridge in un preciso istante”. Ronn Moss sull’Italia e non solo, l’attore statunitense noto per il ruolo di Ridge Forrester nella soap Beautiful, 71 anni, si racconta a cuore aperto in una intervista a ‘La Repubblica’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

Che infanzia ha avuto?
«Spensierata. Con amici e vicini andavamo in collina, giornate a costruire fortezze. Viaggiavamo nella parte posteriore di camion aperti. Un’infanzia spericolata ma normale; oggi tutto è protetto, i bimbi crescono con troppe paure. […]».

La musica prima della recitazione. I Beatles alla tv.
«Sì, ma già ascoltavo la classica, l’opera, uno strano jazz. Mi attraggono le vibrazioni, della musica e della vita. Perciò sono diventato musicista e non medico. Ho studiato medicina, biologia, fisiologia, ho assistito ad autopsie senza battere ciglio. Sarei stato un ottimo chirurgo ma agli otto anni di università ho preferito la band».

La prima adrenalina da palco?
«Quando il batterista ed io, che suonavo il basso, ci siamo ritrovati gli unici nel locale, gli altri bloccati nel traffico. Lì ho capito che ti devi lasciare andare, affidarti al potere della musica. L’ho scoperto guardando di nascosto mia sorella nella sua stanza strapparsi i capelli mentre ascoltava Elvis».

“Baby come back” è arrivato ai vertici della classifica in America.
«A vent’anni siamo passati dalle feste al mainstream. Non c’è niente di meglio che sfidare 25.000 persone in un’arena e avere quell’energia che ti torna dal pubblico».

La recitazione?
«Il mio produttore discografico di allora, Robert Stigwood, mi disse “hai mai pensato di fare l’attore?”. Io sognavo solo la musica ma anni dopo, il gruppo in crisi, ci ho provato. Qualche orribile comparsata in tv, mi presento agli Zoetrope Studios di Francis Ford Coppola: fatemi fare qualcosa. Chiamano il barbiere, trasforma i capelli lunghi e incolti in un taglio anni 40, mi ritrovo in smoking al tavolo dietro Jessica Lange e Sam Shepard in Frances. Ho capito che volevo stare a quel tavolo. […]».

Ronn Moss: “Italia? Un aspetto mi ha sconvolto”

Il primo film in Italia. “Paladini”.
«Ero a contratto con una rete importante, due produttori italiani mi chiedono in prestito. Divento Ruggero, Barbara De Rossi era Bradamante, Maurizio Nichetti il mago. Mi sono addestrato a cavallo, con le spade, conoscevo le arti marziali. Tre mesi sull’Etna, poi Roma».

[…] Una masseria, l’azienda vinicola, la produzione di film, il tour musicale.
«Vivo tra gli Stati Uniti e qui. Sono orgoglioso di aver girato Viaggio a sorpresa con Lino Banfi, un fratello, anche se lui non parla inglese e il mio italiano è limitato. […] Farò sempre più il produttore».

Capitolo “Beautiful”: la prima audizione per Ridge?
«Affittai uno smoking, non avevo nulla di elegante, ma ne trovai solo uno di due taglie più piccolo: sono arrivato con i pantaloni al polpaccio e le maniche striminzite. Stranamente quella fila di produttori sorrideva, c’era una strana energia. Prima ancora che aprissi bocca, avevano capito che ero Ridge. Faccio da spalla per l’audizione di un’attrice, lei sulle mie ginocchia, scherziamo in sintonia. Era Joanna Johnson, Caroline. Alla prima sessione fotografica con la famiglia Forrester vado da Susan Flannery, mia madre nella soap: “Ciao, mamma”. E lei, gelida: “Non chiamarmi così”. Poi è diventata il cuore della famiglia».

Il successo mondiale?
«L’ho capito dopo. Tu reciti per le telecamere, la troupe, non capisci cosa accada fuori. L’accoglienza in Italia mi ha sconvolto. Sono grato a ogni spettatore che ancora mi ferma, non mi sono mai sentito una star».

Momenti difficili?
«Beautiful è durato 25 anni della mia vita. Ci sono stati momenti stressanti, proprio come la vita che vivevo in parallelo. Come Ridge ho avuto morti e traumi. Ho perso mio padre, diversi amici: andavo comunque al lavoro, per farmi forza, non ho perso un giorno di riprese, anche malato. Tra una scena e l’altra mi è capitato di correre in camerino a vomitare. Tornavo e ricominciavo, senza un lamento: c’erano altre 200 persone il cui lavoro dipendeva da me». […]

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