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Pietrangeli: “Tradimento Panatta? Ho sofferto tanto. Io con 1400 donne? Ho avuto quattro grandi amori”

Pietrangeli: “Tradimento Panatta? Ho sofferto tanto. Io con 1400 donne? Ho avuto quattro grandi amori”. Nicola Pietrangeli sul tradimento di Panatta e non solo, l’ex tennista, 90 anni, ripercorre alcune tappe della sua vita privata e professionale in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

[…] Com’era suo padre?
«Forte. Giocò a calcio nella serie A tunisina. Amava il tennis. Ma il suo sport era la pallanuoto, in cui era cattivissimo: una volta si nascose una spilla nel costume, con cui punse il sedere a un avversario. Non litigava; menava. Un arabo diede una pacca a mia madre Anna per strada; lo massacrò».

Sua madre era russa.
«Figlia del colonnello zarista Alexis von Yourgens, in fuga dalla rivoluzione. A Odessa gli esuli si imbarcarono su due navi francesi. La prima andò a Marsiglia; la seconda a Tunisi. Loro erano sulla seconda. Parlavano solo russo e tedesco, non fu facile. Mia madre andò in sposa giovanissima a un altro fuoruscito, il conte Chirinsky. Finì presto, ma le rimase il titolo nobiliare, che per la legge russa va ai figli maschi. Solo vent’anni fa ho scoperto all’anagrafe di avere il doppio cognome: Pietrangeli conte Chirinsky. Ma agli amici del circolo non ho mai osato dirlo».

Pietrangeli: “Tradimento Panatta? Ho sofferto tanto”

[…] Come si incontrarono i suoi genitori?
«Mamma lavorava in un cinema, vendeva dolci nell’intervallo del film; papà li comprava tutti. Poi trovò lavoro in farmacia; papà comprava medicine ogni giorno. Lei si arrese: non voglio che diventi povero per me, ti sposo».

Suo padre era ricco.
«Nonno Michele, di origine abruzzese, era il Paperone di Tunisi. Costruttore. Ma perse tutto. Quando scoppiò la guerra e in Tunisia arrivarono italiani e tedeschi, non fecero nulla ai francesi. Ma quando i francesi si ripresero la Tunisia, sequestrarono i patrimoni degli italiani. Compresa l’Alfa rossa, che una volta vidi passare: alla guida c’era Joséphine Baker, spia e amante di un alto ufficiale. Mio padre finì in un campo di prigionia nel deserto».

E lei?
«Fui accolto a casa di mamma. Parlavo russo, mangiavo russo, pregavo in russo: sono di religione ortodossa».

Crede in Dio?
«Quando mi serve, come tutti i vigliacchi. Pregavo che l’avversario facesse doppio fallo: in russo, per non farmi capire. Adoro le messe ortodosse. Ogni sera prima di addormentarmi mi faccio il segno della croce. Spero, come tutti, di morire nel sonno. Ma finora mi sono sempre svegliato».

Quindi non ha paura della morte?
«A volte penso di buttarmi dal sesto piano; ma se mi faccio male? Poi penso che vorrei essere cremato; ma se mi brucio?».

[…] Le vengono attribuite 1.400 donne.
«Esagerati. Persino Califano si è fermato a mille… Mai tenuto contabilità: sarebbe stato orribile, e pure noioso. Ho avuto quattro grandi amori; e ogni volta è stata lei a lasciarmi».

Lei chi?
«Mia moglie Susanna, dopo tre figli, mi abbandonò per un altro. Lorenza perché non volevo sposarla. Paola, l’ultima, perché non volevo convivere».

E Licia Colò?
«Mai capito perché».

[…] Lei giocava a calcio nella Lazio.
«Sono laziale da sempre. Ma quando volevano mandarmi alla Viterbese, o alla Ternana non ricordo bene, scelsi il tennis. Però ero amico di Maestrelli, che mi faceva allenare con la Lazio dello scudetto».

Pietrangeli: “Io con 1400 donne? Ho avuto quattro grandi amori”

[…] Panatta la sconfisse ai campionati italiani di Bologna nel 1970, 6-4 al quinto, e alla fine lei lo abbracciò.
«L’avevo visto nascere. Vuol sapere la verità? Ad Adriano io ho sempre voluto molto bene, e ancora gliene voglio».

L’autobiografia di Panatta,“Più dritti che rovesci”, si apre con il padre Ascenzio, custode del tennis club Parioli, che annuncia la nascita del primogenito, e voi soci che gridate: e chi se ne frega!
«Non io. Io avevo 17 anni, e non mi sarei mai permesso. È vero che lo chiamavamo Ascenzietto, e questa cosa lui un po’ l’ha sofferta. Me lo ritrovai sul campo, giovanissimo, senza sapere chi fosse, e mi fece impazzire di smorzate, dovetti dirgli: “Regazzì, guarda che le palle corte le ho inventate io!”. Faticai solo il primo set. Alla fine venne a dirmi, con la sua faccia da impunito: “La saluta tanto mio padre”. Solo allora lo riconobbi: ma tu sei Ascenzietto!».

Chi è Panatta per lei? Un amico, un rivale?
«Per me, figlio unico, Adriano era il fratello più piccolo che non avevo mai avuto. Per questo nel 1978 ho sofferto così tanto per il suo tradimento».

Guardi che Panatta scrive di lei con grande affetto, ad esempio quando racconta una vostra trasferta americana.
«Eravamo due scemi. Esordio a Des Moines, Iowa. Tre metri di neve. Eravamo ospiti di famiglie americane, usavamo un’asse di legno come slittino, ci lanciavamo contro la rete di recinzione rischiando di farci male, e scoppiavamo a ridere: appunto, due scemi. Poi andammo a Los Angeles, io stavo a casa di Anthony Quinn, che giocava il doppio con me contro Tiriac e Nastase: perdevamo sempre, e lui si arrabbiava. Una volta chiesi a Tiriac, che mi doveva qualcosa, di fare un set pari. Ma fu peggio, perché Quinn si indignò: “Vedi che se ti impegni possiamo batterli?”».

[…] Perché accusa Panatta di tradimento?
«Nel 1975 in Davis erano usciti al primo turno. Con me capitano vinsero nel 1976, prima e unica volta nella storia, e arrivarono in finale nel 1977. Poi ci fu il processo staliniano».

Come andò?
«Mi convocano al Jolly Hotel di Firenze. Un plotone d’esecuzione: il presidente federale Galgani, Belardinelli, Panatta, Bertolucci, Barazzutti, Zugarelli. Tutti zitti. “Allora, che c’è?”. Comincia Bertolucci: Nicola, noi non proviamo più per te quello che provavamo prima…».

E lei?
«Mi alzo, dico “andate tutti affanculo”, e me ne vado».

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