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Max Angioni: “Io comico per non lavorare. Blasfemo? Argomento sensibile ma il mio pensiero è un altro”

Max Angioni: “Io comico per non lavorare. Blasfemo? Argomento sensibile ma il mio pensiero è un altro”. Max Angioni comico per non lavorare, in una lunga intervista rilasciata a ‘Il Corriere della Sera’, il conduttore comasco, 33 anni, ripercorre le tappe che lo hanno portato dalla gavetta al timone di Zelig. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

[…] Quando ha capito che quello del comico sarebbe stato il suo lavoro?
«Non so quando l’ho capito, ma quello che ho capito subito è che non volevo lavorare. Mi divertiva molto far divertire gli altri, i miei compagni di scuola ad esempio. In oratorio organizzavo delle recite, in classe facevo degli sketch, ma fino a quando ho avuto 28 anni l’idea di lavorare come comico mi pareva un sogno irraggiungibile».

Ha dovuto farsi forza?
«Parecchia. Verso i miei 18 anni avevano organizzato a Como, dove vivevo, un laboratorio di Zelig, ma io non ero neanche andato per l’ansia di arrivare lì e incontrare qualcuno che mi dicesse in faccia: guarda che non è il tuo».

Più tardi, è mai successo?
«Beh sì. Ci sono state persone che mi hanno detto “ma cosa stai facendo” o “ma guarda che non fai ridere”. Alla fine è stato tutto come prendere una bella rincorsa e crederci sempre un po’ di più. Un ristorante può beccare anche qualche recensione negativa ma va comunque avanti e, se va bene, migliora».

Le piaceva far ridere.
«Esatto. A scuola ero quello che fa le imitazioni dei professori: avevo imbastito anche una mini tournée nelle altre classi della scuola con la mia parodia della professoressa di fisica. Notavo le frasi che ripeteva spesso, i suoi tic. Ecco, la scuola è un mondo molto stimolante da quel punto di vista, anche perché vedi degli adulti, che sono i prof, chiaramente in difficoltà. Vivono uno stress incredibile, da soli davanti a 30 adolescenti».

Max Angioni: “Io comico per non lavorare”

Capitolo gavetta: serate disastrose?
«Ce ne sono state, eccome. Quando iniziavo a pensare di essere bravo, verso i 24 anni, ho fatto delle serate di cabaret a Milano e sono andate malissimo. In certe occasioni nel pubblico si era ricreato il brusio di fondo che c’è normalmente quando sul palco non accade nulla».

Non male per uno che oggi ha pubblicato anche un libro, «Mistero brutto – Il vangelo secondo me», sulla cui copertina appare con una sorta di aureola.
«Sto inquinando anche l’editoria. La recensione più carina me l’ha fatta mio nonno, dicendomi: “Bravo, ho riso tanto, ma sarete tutti scomunicati”».

Qualcuno se l’è presa? L’hanno trovata blasfemo?
«Ho ricevuto un paio di mail in cui mi dicevano: “Ma come ti permetti”. Eppure ricordo che erano temi trattati già da altri comici, perfino Benigni. So che ci sono argomenti più sensibili ma il mio pensiero è: vediamo se fa ridere. Che si parli di aeroporti o di religione».

Ma siamo nell’era del politically correct, no?
«Una storia che ha anche un po’ stancato. La gente si offendeva anche prima, solo che non te lo scriveva sui social e non lo sapevi».

[…] Quali comici?
«Benigni davanti a tutti: quello che ha fatto come comico è incredibile. Poi ho un debole per De Luigi, specie quando faceva Mai dire. Sono stato traviato da lui e da Aldo, Giovanni e Giacomo che vedo come dei parenti perché mi hanno dato troppa gioia. Li guardavo e impazzivo. Poi trovo incredibili Albanese, Paolo Rossi e anche Grillo».

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