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Zucchero: “La mia ex moglie mi ha massacrato. Pensai al suicidio. Mogol? Disse che non avevo cazzimma”

Zucchero: “La mia ex moglie mi ha massacrato. Pensai al suicidio. Mogol? Disse che non avevo cazzimma”. Zucchero sulla ex moglie, Mogol e non solo, il cantautore romagnolo, 68 anni, ripercorre le tappe della sua vita privata e professionale in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

Perché Zucchero?
«Mi chiamava così la mia maestra: introverso, sempre all’ultimo banco, non parlavo mai; anche se con qualche compagno siamo amici ancora adesso. Ero un bambino molto educato: vengo da una famiglia di contadini, guai se non ti comportavi bene».

[…] Perché vi trasferiste a Forte dei Marmi?
«Il mestiere di papà era duro. Un giorno cadde dalla scala su cui era salito per far stagionare il parmigiano sugli scaffali. Tornò con la testa avvolta in una benda macchiata di sangue, quando lo vidi svenni per l’emozione. Lo chiamò un amico da Forte dei Marmi: “Pino vieni qua, che con i formaggi e i salumi emiliani si fanno i soldi”. Avevo 11 anni. Il viaggio sulla Cisa vecchia fu epico».

Come andò?
«Partimmo su un camioncino. Papà, mamma e il mio fratellino Lauro davanti; io sul cassone a tenere le funi, a controllare che non cadessero i mobili. A Forte dei Marmi ci avevano promesso un magazzino, che però non c’era più: al babbo non avevano dato la licenza, non volevano concorrenti. Eravamo disperati, non sapevamo neppure dove andare a dormire, perché pensavamo di dormire nel magazzino: ci ospitò l’amico, per farsi perdonare. Papà non voleva tornare sconfitto e si accontentò di un negozietto di alimentari. D’estate diventavamo matti: i miei in negozio, io in giro con una bicicletta pesante fino a sera per le consegne, colazioni pranzi merende cene».

[…] E la musica?
«A 9 anni a Reggio avevamo già un gruppetto, provavamo in canonica la domenica pomeriggio con il permesso del prete. Facevo il chierichetto, in cambio mi lasciava suonare l’organo».

Zucchero: “Mogol disse che non avevo cazzimma”

[…] Qual è il suo primo ricordo?
«Il carretto dei ghiaccioli, che chiamavamo biff. Io volevo il biff ma costava venti lire, papà non me lo voleva comprare; piuttosto lo faceva lui con il ghiaccio del caseificio, e me lo dava così, in mano. Un mio amico mi rubò il biff, io lo centrai con un sassolino in testa».

[…] La musica quando comincia?
«Io nasco come musicista. Ho cominciato a scrivere i miei testi per reazione» […] «La mia casa discografica mi mise accanto Mogol. A Sanremo però non portai un suo brano ma quello di Alberto Salerno, Donne».

Donne, du du du…
«Ai concerti non la canto quasi mai, perché mi vergogno del du du du».

È una canzone molto bella.
«Ma Mogol si arrabbiò moltissimo. Sbraitava: “Voi non capite un cazzo!”. Poi, rivolto a me: “Tu dove credi di andare? Non hai la faccia giusta, non hai la cazzimma!”. Poi, rivolto ai produttori: “Venite dal dottore quando il paziente è già in fin di vita!”. In effetti avevo già fatto due Festival, ma non era successo niente, e la Polygram aveva deciso di buttarmi fuori. Sentii il direttore generale dire al direttore artistico: ho visto Zucchero seduto in sala d’attesa, ma che ci fa ancora qui? Quello non funzionerà mai».

[…] Ci racconti della sua ex moglie Angela.
«Mi ha massacrato. Però a suo modo è stata una fonte di ispirazione. Ora vorrebbe i diritti di autore… È stato un grande amore. Ed è stato un inferno».

Zucchero: “La mia ex moglie non mi ha mai detto ti amo”

Come andò?
«Era bellissima, ma a colpirmi fu la malinconia dei suoi occhi. Non sono mai riuscito a capirla, neanche adesso. Impenetrabile. Durissima. Mi sono sposato a 23 anni, lei era ancora più giovane. Mi aveva lasciato il giorno prima che partissi per il Forte Village, in Sardegna, dove dovevo suonare per un mese. Le telefonavo e non rispondeva mai. Al ritorno con la 128 scassata di mio padre andai ad aspettarla fuori dal negozio dove lavorava, e le chiesi di sposarmi. Lei rispose di sì. Fino a quando una notte mi disse: “Ti lascio, non ti amo più”. Ma non so se mi abbia mai amato davvero, di sicuro “ti amo” non me l’ha mai detto, e neanche “ti voglio bene”. Mai. E la mia presunzione era farla sorridere, renderla felice».

In che modo?
«Volevo prenderle una casa vicino a sua madre, e mi indebitai di 500 milioni. Così scivolai nella depressione. Non sapevo dove prendere il denaro, dovevo pagare 50 milioni ogni sei mesi; la prima rata me l’aveva garantita un impresario, in cambio di una tournée al Sud. Vado a Roma a ritirare i soldi, e mi dice che non ci sono. Mancano quattro giorni alla scadenza, se non pago ci portano via la casa. E nel frattempo era arrivata la seconda figlia».

Come se l’è cavata?
«Telefono a tutti i produttori con cui ho lavorato: quello di Viareggio, quello di Bologna, quello del Piemonte… A tutti offro tre anni di esclusiva, in cambio di 50 milioni. Niente, al massimo me ne danno 20. Allora chiamo il manager dei Matia Bazar, Paolo Cattaneo, che aveva un ufficetto e mi aveva detto: Delmo, quando sei solo, hai freddo, piove, vieni a trovarmi. Vado a trovarlo e lui mi mette in contatto con un musicista che aveva suonato con Paoli e ora voleva diventare produttore: Michele Torpedine. Penso: Torpedine… già il nome non mi piace».

Invece fu la sua fortuna.
«Mi propone di fare il contratto subito. Ok, rispondo, a patto che lo firmiamo dal mio avvocato».

Zucchero: “La mia ex moglie mi ha massacrato”

Chi era il suo avvocato?
«Ovviamente non avevo un avvocato. Un amico mi trovò un matrimonialista, uno che di solito faceva divorzi. Lui capì e si presentò in doppiopetto, sembrava un grande agente. Torpedine pagò. E sparì».

[…] Il 1987 fu il suo anno. Con le mani, Pippo, Solo una sana e consapevole libidine… Solo con Vasco si era visto un boom così.
«Invece ero depresso. Il mio matrimonio stava finendo».

Pippo è davvero un amico che ci provava con sua moglie?
«Sì. E temo ci sia anche riuscito».

Sarà stato assediato dalle ragazze dopo i concerti.
«Non aspettavano i concerti, venivano direttamente in albergo, a casa. Alcune erano bellissime, eppure ho rimediato parecchie brutte figure. Non riuscivo a combinare niente. È la depressione».

Così tornò a casa dai suoi.
«Papà non aveva ancora capito bene cosa facevo. Tornavo alle 4 del mattino dai concerti e lui all’alba mi svegliava: Delmo, vieni a darmi una mano nei campi. Arrivò uno di Tele Reggio a intervistarlo: le piace la musica di suo figlio? E lui: no, a me piace la mazurca. Mi ritirai in una casetta di legno sul mare, con una tastiera, un registratore e un cane, Olmo. Me lo rubarono».

E lei scrisse Miserere.
«Ero davvero depresso. Leggevo Bukowski perché almeno lui stava peggio di me. Scrivo Miserere e penso che per cantarla ci vuole un tenore».

[…] La sua musica Zucchero è diversa da quella degli altri cantautori.
«Perché me ne sono andato dall’Emilia, che è più cantautorale. In Versilia mi attaccavo al jukebox aspettando che qualcuno mettesse un disco, perché non avevo soldi. E scoprii il rhythm&blues: Otis Redding, Wilson Pickett, Mustang Sally, Aretha Franklin. Così mi innamorai di quella musica. Poi il 3 settembre per la fiera di san Giorgio arrivavano i Calcinculo».

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