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Spettacolo

Milena Vukotic: “Da Fellini come una carcerata ma fu folgorazione La danza t’inculca un’abitudine per tutta la vita”

Milena Vukotic: “Da Fellini come una carcerata ma fu folgorazione La danza t’inculca un’abitudine per tutta la vita”. Milena Vukotic su Fellini, la danza, e non solo, l’attrice italiana di origini montenegrine, 88 anni, ripercorre le tappe della sua carriera in una intervista a ‘Il Giornale’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

Prima di recitare lei era una danzatrice classica. Nascono da qui la grazia e l’eleganza dell’attrice?
«Questo non saprei… Avevo studiato danza al Conservatorio di Parigi e poi, nel 1955, venni scritturata dalla prestigiosa compagnia del Marchese de Quevas. Quindi passai ad un altro grandissimo: Roland Petit. Di certo il lavoro massacrante che si fa nella danza t’inculca per tutta la vita un inflessibile senso della disciplina; una spinta inesorabile alla dedizione totale per qualunque altra cosa si faccia».

E poi, come passò al cinema?
«Accade quando vidi un film: La strada, di Federico Fellini. Una folgorazione. Seppi che il Maestro cercava volti nuovi per Boccaccio 70, l’episodio con Peppino de Filippo e Anita Ekberg. Mi procurai una lettera di presentazione dall’amico di un amico (che neppure conoscevo) feci la messa in piega e mi presentai al cospetto del Genio. La lettera neppure gliela diedi: ero troppo emozionata. E lui con esuberanza mi carezzò sulla testa (disfacendo l’opera del parrucchiere) e mi spedì subito a fare delle foto. Davanti, di profilo, come ai carcerati. Funzionò. Poi mi riprese anche per Giulietta degli spiriti, dove facevo una camerierina alle prese con la conserva di peperoni, e una santa martire sulla griglia, arrostita dal fuoco (vero)».

Milena Vukotic: “Da Fellini come una carcerata ma fu folgorazione”

Molti altri grandi l’hanno voluta – Zeffirelli, Bunuel, Monicelli, Wertmuller, Scola, Loy, Bolognini, Bertolucci- ma quasi sempre in ruoli di fianco. Pensava di meritare di più?
«No: sono contenta della mia carriera. Se non sono stata più spesso protagonista la colpa è del mio fisico. Il grande Renato Castellani me lo disse chiaro e tondo: “Oggi vanno le maggiorate fisiche; con quel faccino lì cosa pretendi?”. Senonché, alcuni anni dopo, quel “faccino” a lui andò benissimo: mi prese per fare la contessa Clarina Maffei nel Giuseppe Verdi girato per la Rai. Ma io non gliel’ho mai rinfacciato”.

E infine il traguardo più ambito: venerdì le verrà consegnato il David di Donatello alla carriera.
«Ancora quasi non ci credo. Questo premio tocca una parte molto sensibile in me. No: non ho pensato “forse c’era qualcun’altra che lo meritava di più ”. Fin da subito me lo sono goduto tutto, pienamente».

Perdere l’autonomia ed essere emarginata: un incubo per Daisy. E per lei?
«Il mio lavoro mi tiene al riparo da queste preoccupazioni. Mi nutre, mi dà forza. Ogni giorno».

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