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L’empatia non è sempre una qualità positiva: quando è perché danneggia le persone. Lo studio

L’empatia non è sempre una qualità positiva. È quanto emerge da un nuovo studio, pubblicato sulla rivista PNAS. La ricerca suggerisce che è possibile imparare ad essere più empatici, ma è anche possibile imparare ad essere meno empatici di quanto lo siamo già. I ricercatori hanno scoperto che osservare le persone rispondere empaticamente agli altri che soffrono, aumenta il nostro senso di empatia. Tuttavia, è stato anche scoperto che possiamo imparare dalle persone non empatiche a provare meno empatia.

Era già noto che i bambini imparano l’empatia, ma non è chiaro se e come l’empatia cambi con l’avanzare dell’età. L’ambiente sociale di una persona ha un grande impatto su questo. “I nostri risultati indicano che l’ambiente sociale ha un effetto duraturo sull’aumento o sulla diminuzione del sentimento di empatia”, ha affermato Grit Hein, ricercatore dell’Università di Würzburg che ha guidato la ricerca. “Se abbiamo persone che fungono da modelli di empatia, anche se sono estranei, le nostre possibilità di apprendere l’empatia sono maggiori“, ha aggiunto Hein.

Gli esseri umani non nascono empatici

Circa il 10% della nostra capacità empatica viene ereditata geneticamente, e il resto viene appreso durante l’infanzia. “Se l’empatia fosse presente in tutte le comunità sociali, allora si rafforzerebbe davvero l’apprendimento dell’empatia da parte dei bambini. Più la usi, più ti consideri una persona empatica“, ha affermato Sarah Mears, co-direttrice di Empathy Lab, un ente di beneficenza con sede nel Regno Unito.

Mears sostiene che, sebbene le interazioni sociali siano importanti per sviluppare l’empatia, anche i libri sono ottimi strumenti che possono aiutarci a entrare in empatia con persone al di fuori delle nostre solite bolle sociali.

“Quando leggiamo, siamo trasportati in una storia e proviamo empatia per i personaggi. È come un simulatore di volo mentale, quindi stai simulando ciò che potresti provare nella vita reale. Ciò offre alle persone esperienze empatiche, forse prima che le abbiano vissute nella vita reale”, spiega Mears.

“Mettiti nei miei panni”

Quando le persone chiedono agli altri di mostrare empatia, di immaginare cosa vuol dire essere “nei loro panni”, l’obiettivo è creare un’esperienza emotiva condivisa, il che di solito è un aspetto positivo. Proviamo una calda gioia quando compiamo un atto di empatia, soprattutto quando è associato all’offerta di aiuto. Gli studi dimostrano che questo meccanismo attiva percorsi di ricompensa nel cervello.

In termini evolutivi, l’empatia aiuta a formare legami di gruppo e a sviluppare una morale comune. Ma l’empatia non è sempre una qualità positiva. La ricerca suggerisce che l’empatia può essere associata al pregiudizio. Inoltre, gli empatici scelgono i loro preferiti, le persone o le cause con cui si identificano, e queste di solito sono persone, cose o idee all’interno della loro bolla.

Si chiama effetto vittima identificabile. Crea una situazione in cui la sofferenza di una persona conosciuta, può essere più importante della sofferenza di mille persone sconosciute. Secondo Hein l’empatia deve essere combinata con altri motivi affinché possa avere un effetto duraturo sulla società. “L’empatia è positiva perché crea una connessione immediata, ma per mantenerla sono necessarie norme sociali come il rispetto e l’equità”, ha dettp.

Perché ridiamo quando i clown cadono dalle scale o si prendono una torta in faccia?

In una situazione normale, proveremmo empatia per la persona ferita, ma la commedia ci consente di mettere in pausa o sospendere la nostra empatia in un ambiente sicuro. Gli psicologi credono che le persone sviluppino questo meccanismo come un modo per affrontare il peso dell’empatia.

Molte persone lo sperimentano dopo essere state esposte costantemente a immagini e video di guerra sui social media. “Sappiamo che l’empatia può portare sofferenza e può danneggiare la nostra salute mentale se non siamo in grado di regolarla. Questa sofferenza può portare al burnout, che alla fine porta al disimpegno piuttosto che alla collaborazione”, ha affermato Hein.

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