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Cultura

Dolce e Gabbana: “Abbiamo scelto di rimanere noi, in mezzo alle multinazionali, per poter lavorare con amore”

Dolce e Gabbana in un’intervista a Io Donna del Corriere della Sera

Domenico Dolce e Stefano Gabbana hanno rilasciato un’intervista a Io Donna del Corriere della Sera in cui raccontano del loro lavoro. “Siamo anche divertenti, a volte kitsch… ma la base dei nostri abiti rimane classica”.

La coppia di stilisti, da 35 anni nell’elite della moda, punta alla qualità assoluta delle loro creazioni e sul fatto a mano. Anche l’ultima sfilata per il prossimo inverno, ha puntato a far conoscere al grande pubblico, tutto il lavoro che si cela dietro i loro abiti. Il video introduttivo a ‘Eleganza’ (questo il nome della sfilata autunno inverno), ha reso omaggio ad ago e filo, svelando il lavoro degli stilisti circondati dalla loro famiglia di artigiani. Bianco su nero, le mani cuciono il mantra della maison: il ‘Fatto a Mano’. “Lavoriamo sui codici dell’armonia. Un abito non è solo bellezza, quella è soggettiva: la cosa più importante è che deve donarti. A questo serve la vera sartoria”, raccontano gli stilisti.

Domenico Dolce, spiega nel dettaglio. “L’uomo guarda ancora al taglio, al tessuto, mentre la donna pensa all’estetica. La conquista il look. Ma provando un abito si nota subito se il cartamodello o la stoffa sono sbagliati: mi basta vederlo indosso per capire che un giromanica è stato tagliato male. E quando un capo non segue il movimento può essere il più bello del mondo, ma non ti farà mai sentire a tuo agio”.

Anche Stefano Gabbana è della stessa opinione e precisa. “In realtà anche una T-shirt di cotone può complicarti la vita; se la spalla è sbagliata e il collo stringe passi la giornata a sistemarli. Un incubo. E poi le canottiere: sono uno dei nostri capi-icona, come i bustier, perché le realizziamo seguendo non solo ciò che ci piace ma anche le regole del corpo. Oggi con due stampe puoi fare successo, ma all’eccellenza anatomica un algoritmo non può arrivare. Per questo da noi a mano si fa tutto, altro che computer”.

 

 

Gli stilisti restano fedeli alla vecchia scuola, quella dello schizzo su carta, “Ai ragazzi dell’ufficio stile diciamo che il pc si usa per trovare informazioni, non per disegnare: quello si fa con la biro, evitando la matita, perché un pensiero è incancellabile. Non va bene? Lo rifai”.

In un’epoca in cui ogni cosa è computerizzata e creata in serie, il ‘fatto a mano’ permette di conservare l’esclusività di un capo rifinito secondo la corporatura di ognuno, tipica del sarto alla vecchia maniera. E questa attenzione non vale solo per le creazioni di alta moda, ma anche per il prêt-à-porter. “Il mezzopunto sulle giacche, si vede subito che è fatto a mano. Come? È imperfetto. La macchina non sgarra di un millimetro, ma non ha la stessa morbidezza. Inoltre solo una persona può rifinire i bottoni gioiello; mentre quelli normali, se attaccati industrialmente, quando il filo cede si staccano subito. E poi il “baffo” frontale dei pantaloni. Chi le vuole tutte quelle pieghe? Nessuno. In quel caso, il cartamodello è stato fatto male”, racconta Gabbana.

Il lavoro di preparazione ad una sfilata, impegna tantissime persone. Ognuna con una specifica competenza. tanto che Domenico Dolce racconta, “È un’opera corale. Le sarte e i sarti coinvolti sono circa 85, tutti parte delle sartorie interne. Ma c’è un grande lavoro che parte prima, quando si definiscono le parole chiave della sfilata e i suoi codici; ci costruiamo letteralmente un film. Quali sono il luogo, la donna, l’iconografia di riferimento? Se l’ispirazione è un’epoca ne studiamo i personaggi celebri, gli artisti importanti, la nobiltà, le musiche, il cibo… un’esperienza immersiva. E se disegniamo qualcosa di stupendo ma non adatto all’atmosfera di quel “film”, non lo mettiamo. Non sempre due cose bellissime possono stare bene insieme; se dovessi spiegarlo da italiano direi che non si può bere il cappuccino con la pizza. Per questo abbiamo scelto di rimanere noi, Stefano e Domenico, in mezzo alle multinazionali: per poter fare quello che ci rispecchia, e farlo bene. Ma soprattutto con amore”.

 

 

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