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Spettacolo

Lino Banfi: “Totò mi fece cambiare nome con una frase. Usurai romani mi succhiarono il sangue..”

Lino Banfi: “Totò mi fece cambiare nome con una frase…”. L’ attore pugliese parla a Libero quotidiano

Lino Banfi: “Totò mi fece cambiare nome con una frase. Usurai romani mi succhiarlo il sangue…”. L’ attore pugliese, che la scorsa settimana ha compiuto 83 anni, si racconta in un’ intervista rilasciata ai microfoni di Libero quotidiano. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

Come sono stati questi 83 anni?
«Belli pieni. Il momento più bello sono state le nozze d’ oro con mia moglie, che adoro, stiamo insieme da sessantasei anni. Come attore mi piaccio, come uomo no. Ho questa lotta interna tra Zagaria e Banfi che dura da una vita, un giorno si metteranno d’ accordo. Mi sembrano Di Maio e Salvini».

È vero che fu Totò a suggerirle il nome d’ arte?
«Mi suggerì di cambiare quello che avevo scelto, Lino Zaga. Avevo circa 24 anni, andai a casa sua con un biglietto di raccomandazioni del padrone dell’ Ambra Jovinelli, che era suo amico intimo e mi aveva preso in simpatia perché facevo ridere senza parolacce. Il principe mi disse “bravo, fai avanspettacolo” ma quando gli dissi come mi chiamavo, mi disse “cambialo: i diminutivi dei nomi portano bene, i diminutivi dei cognomi portano male”. Pensai ecco perché sono un morto di fame, ho sbagliato il cognome! Mi ha voluto aiutare, come un angelo».

Banfi da dove arriva?
«Lo trovammo con l’ amministratore di una compagnia teatrale, che era maestro elementare. Aprì il registro della sua classe: c’ era un certo Aurelio Banfi. Con Lino suonava bene e divenni Lino Banfi».

Gli inizi non sono stati facili.
«Gli inizi sono stati ultra-super-difficilissimi, oltre alla fame nera avevo preso soldi a strozzo dai famosi “cravattari” romani, gli usurai: ottocentomila lire che divennero oltre due milioni, mi hanno succhiato il sangue. Ma dagli anni Settanta cominciai a respirare, a lavorare tanto, firmai un’ esclusiva con De Laurentiis. Facevo film “cotti e mangiati”, che rifarei tutti, poi anche alcuni più importanti. Ho lavorato con Sergio Martino, Laurenti, Corbucci, ma con Dino Risi e Il Commissario Lo Gatto fu un grande passo avanti».

È stato quello il momento della svolta?
«Beh, è uno dei film che ricordo più volentieri, il protagonista era un commissario imbranatello ma intelligente, in posti belli sul mare. Tredici anni prima di Montalbano».

Poi è arrivato Nonno Libero, il protagonista di Un medico in famiglia. Cosa ha significato?
«È un personaggio molto bello, che mi ha fatto crescere, mi ha fatto abbracciare la terza generazione e sta arrivando anche la quarta. Peccato che non hanno voluto fare una stagione conclusiva, di addio: abbiamo tentato ma non l’hanno voluta fare».

Il Papa l’ ha definita «il nonno d’ Italia».
«Papa Wojtyla me lo diceva spesso. Lo facevo sorridere, quando cominciava a stare male, mi venne in mente che sarebbe stato bello essere il “giullare del Papa”, un ruolo che non esiste. Poi ho conosciuto da vicino Ratzinger. E finalmente anche Bergoglio. Tre Papi li ho conosciuti, sto a posto».

Ha un rammarico?
«Mi dispiace se lascio le penne tra qualche anno senza aver ricevuto un premio. Non ne volevo di importanti, mi piacerebbe un coniglietto di peluche, un orsacchiotto… magari un premio alla carriera. I film comici non sono mai premiabili, l’ attore comico ha dei limiti di utilizzo ma questi film hanno fatto arricchire produttori, distributori e questa è una cosa bella. E quando sono riuscito a fare film drammatici, anzi mescolando comico e drammatico che è più difficile ancora, hanno cominciato ad apprezzarmi di più. Anche questo è un premio».

Il prossimo progetto è con Al Bano: sarà per il cinema o per la tv?
«Per la televisione, dovrebbero essere quattro puntate, non so ancora se sarà per la Rai o per Mediaset. Ne parleremo meglio quando finirà di fare il pendolare tra Russia e Giappone. Penso che ci lavoreremo dopo l’ estate e andrà in onda ai primi dell’ anno. Lui dovrebbe interpretare un ex mafioso, una persona perbene che si è pentita di quello che ha fatto, io invece un frate cappuccino».

Ci sono poi gli impegni istituzionali: è ambasciatore dell’ Unicef e dell’ Unesco.
«Sì, qualche “odiatore” ha detto che tolgo lavoro ai giovani ma questo non è un lavoro, ci rimetti tempo e non ti danno una lira. Ma è un onore».

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