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Verona, da nullatenente a milionaria. Ma la Procura sequestra il tesoro

Verona, da nullatenente a milionaria. Ma il tesoro viene sequestrato

Verona, da nullatenente a milionaria. Giuseppina Perazzi è una donna indigente. Eppure, stando a ciò che per diversi tribunali è un «dato di fatto», era una multimilionaria. Soltanto che non sapeva di esserlo. Il suo compagno, morto in un incidente nel 2001, le lasciò una collezione di reperti il cui valore — per la Soprintendenza — sarebbe stratosferico: 107 milioni di euro. Testimonianze preistoriche «di straordinario interesse», le definisce un’informativa dei carabinieri, che nei mesi scorsi hanno ottenuto dalla Procura di Verona il loro sequestro in quanto «rientranti nella tutela dei beni culturali poiché appartenenti allo Stato».

La collezione
«Per 26 anni sono stata la compagna di Roberto Partesotti, che lavorava come scenografo dell’Arena di Verona», racconta Perazzi. In casa Partesotti custodiva la collezione iniziata dal bisnonno: oltre 5 mila selci lavorate da uomini preistorici e provenienti in gran parte dalla Lessinia e dalla Puglia. Nel 2007, dopo aver perso il lavoro, Giuseppina decide di vendere le selci e si rivolge alla Gorny&Mosh, casa d’aste tedesca che stima in poco più di 10 mila euro il valore della raccolta. Così, il 14 dicembre la «collezione Partesotti» finisce in vendita a Monaco ma lo stesso giorno, a Verona, la Procura ordina una perquisizione. L’accusa: i reperti provengono da scavi illegali. Le autorità tedesche bloccano tutto e nel 2009 è la stessa Perazzi ad acconsentire al rientro in Italia delle selci.

Soprintendenza
Accade che la Soprintendenza archeologica di Verona invia un proprio funzionario, Luciano Salzani, a dare un’occhiata alla collezione «che stima — scrive la Cassazione — per il prezzo di 107 milioni di euro». La vedova resta di sasso: «Una cifra esorbitante e, francamente, un po’ ridicola». Per l’ispettore le selci valgono diecimila volte la valutazione fatta da Gorny&Mosh; e quindici milioni di euro più di quanto, nel 2012 a New York, è stato venduto L’urlo di Edvard Munch. Ma tant’è. Da dieci anni quelle testimonianze dell’uomo preistorico sono chiuse nei magazzini dell’Arsenale, a Verona. «Appena rientrata dalla Germania — ricorda la pensionata — la Procura ha sequestrato l’intera collezione e mi hanno accusato della ricettazione dei reperti, poi della loro illecita esportazione e alla fine perfino di aver rubato quelle pietre all’Italia».

L’inchiesta
L’inchiesta passa per competenza alla Procura di Bolzano che ottiene un vincolo sulle selci «bene culturale». Nel 2016, però, il Tar annulla il provvedimento e lo scorso anno arriva la svolta: il tribunale altoatesino dichiara ogni reato prescritto e dispone che gli oggetti sequestrati «vengano restituiti». «A gennaio sono andata a riprenderle, ma subito dopo mi è stato notificato un nuovo ordine di sequestro». L’accusa è «tentato impossessamento» di reperti che, ribadiscono i magistrati, sono proprietà dello Stato. Il Tribunale del Riesame, qualche settimana dopo, dispone la confisca in favore dei Beni culturali. Giuseppina ha di nuovo perso tutto. Eppure, non vuole alzare bandiera bianca. «Non mi arrendo. A costo di andare fino alla Corte europea».

Fonte: Il Corriere della Sera

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