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Elisabetta Villaggio: ‘Mio padre aveva solo un aspetto in comune con Fantozzi. Perché cialtrone? Vi spiego’

Elisabetta Villaggio: ‘Mio padre aveva solo un aspetto in comune con Fantozzi. Perché cialtrone? Vi spiego’. La regista e scrittrice, primogenita dell’attore che ha dato il volto al noto ragioniere, racconta il privato del padre in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

Il primo ricordo di suo padre?
«Io e mio fratello eravamo piccolini e dovevamo aspettarlo fuori dai locali mentre faceva cabaret. Ricordo queste lunghe attese che non sopportavo. Di giorno faceva l’impiegato, un lavoro che gli aveva trovato il nonno quando mia madre era rimasta incinta di me. Però era un assenteista, la sera tirava tardi, gli piaceva stare in compagnia. Una volta avevo avuto la febbre e non ero andata a scuola e mi aveva colpito che anche lui fosse a casa e che dormisse fino a tardi».

L’ultimo ricordo?
«Stava già male, era ricoverato e cercavo di trascorrere più tempo possibile con lui. A un certo punto mi disse: “Sai che ho sempre pensato di essere matto? Da quando sono nato”. Era davvero preoccupato e questa cosa mi colpì perché con la sua follia, invece, era riuscito a tirar fuori personaggi che hanno fatto ridere tutti».

[…] Litigavate?
«Ci siamo sempre scontrati! Su certe cose abbiamo un carattere molto simile. Lui era un grande organizzatore, e io pure, ma non volevo farmi dire da nessuno cosa fare in una giornata e men che meno nella vita. Era molto pretenzioso: per lui essere felici significava sposare il presidente degli Stati Uniti, essere bella come Cindy Crawford, essere ricchi come uno sceicco. Aveva aspettative troppo alte! Alla fine ho capito che questi erano modi per spronarmi a ottenere di più e a migliorare».

Elisabetta Villaggio: ‘Mio padre aveva solo un aspetto in comune con Fantozzi’

Com’è stato dover condividere il suo papà privato?
«Non facile. Lo fermavano di continuo per chiedere autografi, baci, abbracci, e poi spuntava sempre una macchina fotografica. Quando abbiamo lasciato Genova e ci siamo trasferiti a Roma, agli inizi del ‘68, ha avuto questa botta di notorietà. Dopo è diventato normale anche per me, ma per un lungo periodo ho detestato i fotografi che ci invadevano casa, mi dicevamo fai così, mettiti là…».

[…] Quando scoprì il diabete non fece nulla per curarlo. Fino a ritrovarsi in sedia a rotelle. Non le faceva rabbia?
«Certo! Ma con il cibo era incontrollabile e poi non dava retta a nessuno. Quando fu costretto a muoversi in sedia a rotelle si prese un autista: andava in giro con lui, fin dal mattino, per il primo cappuccino con i cornetti…».

Nel libro scrive che suo padre era un cialtrone.
«Lo definivano così gli amici, affettuosamente. Paolo Fresco, con cui aveva fatto il liceo, mi raccontò di quando gli diede appuntamento a Cortina senza farsi trovare».

[…] Cos’aveva in comune con Ugo Fantozzi?
«Beh, mio padre era un uomo coltissimo. Mi fece leggere Marcuse quando ero adolescente, e non capii nulla. Anche mio figlio Andreas, che adorava, lo ha sempre trattato da adulto: a lui faceva leggere Kafka. Detto questo, non aveva alcuna manualità, non ha mai cambiato una ruota, non sapeva usare il computer, men che meno gli smartphone. Ogni tanto era un po’ impacciato, tant’è che in privato gli dicevamo: guarda papà che così sembri Fantozzi. Però con il suo personaggio più amato penso che avesse in comune soprattutto la tenacia».

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