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Spettacolo

Sandra Hüller: “Zona d’interesse? Ho esitato per il passato di parte della mia famiglia. Su Anatomia d’una caduta…”

Sandra Hüller: “Zona d’interesse? Ho esitato per il passato di parte della mia famiglia. Su Anatomia d’una caduta…”. Sandra Hüller su Zona d’interesse, Anatomia d’una caduta, e non solo, l’attrice tedesca, 45 anni, parla di alcuni film che la vedono come protagonista in una intervista a ‘Io Donna. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

[…] La necessità di trovare un nuovo equilibrio nei rapporti di coppia è un tema forte del film.
“Vivere insieme confonde comunque, ma per secoli – o, quantomeno, per decenni – ci sono state regole che hanno funzionato. Ora non più: è il momento di trovare un modo di relazionarsi più libero, più fiducioso, più paritario. Come? Magari diventando consapevoli delle proprie paure, concedendoci di esprimere i desideri e di perseguirli, senza schermarci dietro alibi o dando la colpa al partner…”.

Come ha lavorato sul personaggio?
“Porto con me inevitabilmente me stessa, la mia storia, le mie esperienze. Non ho miglior “materiale” da utilizzare, oltre a osservare – ovvio – come si muovono, come si esprimono, come si comportano gli altri… Cerco punti di contatto e qualcuno, seppur minimo, c’è sempre. Ho studiato in una scuola teatrale d’arte drammatica, ho imparato a usare il mio corpo e la mia voce e, al tempo stesso, la mia anima. O invece no, il segreto è talvolta una mancanza di personalità… (lunga pausa) Di certo, so solo che non mi preoccupo della maniera in cui porgere la mia faccia in modo che appaia bella, non ho seguito nessun corso di questo genere: mi distrarrebbe da quel che voglio esprimere”.

Sandra Hüller: “Zona d’interesse? Ho esitato per un motivo”

Nel caso di Zona d’interesse qual è stato l’appiglio?
“Ah no, nessuno (salta su)! Lo so, mi contraddico, ma zero identificazione con Hedwig Höss (moglie di Rudolf Höss, comandante del campo di concentramento di Auschwitz, ndr)”.

Magari il fatto che è una donna forte, il marito teme più lei dei gerarchi nazisti.
“Ma no, è una donna debolissima (smorfia di disprezzo)”.

Eppure il regista, Jonathan Glazer, ha raccontato di non aver mai avuto in mente nessun’altra attrice, che il film (ispirato all’omonimo romanzo di Martin Amis) non era neppure immaginabile senza di lei.
“Gli ho messo a disposizione il corpo, un involucro vuoto, niente di più. Ho esitato parecchio ad accettare: alcune riprese erano programmate ad Auschwitz e, in quanto tedesca, è stato impegnativo confrontarmi con la storia del mio Paese, del mio popolo e, forse, di parte della mia famiglia. Avevo già rifiutato parti simili”.

E cosa l’ha convinta, da ultimo?
“L’approccio nuovo: limitarsi a osservare, non suscitare emozioni”.

[…] Cosa significa, in definitiva, per lei recitare?
“Questa è davvero la grande domanda (per una volta, ride di gusto). Ci sono stati cambiamenti negli anni. Da giovane, quando ho cominciato, cercavo di capire cosa mi stesse succedendo, chi fossi. Mi sforzavo di comprendere la mia famiglia: se cresci in una piccola città…”.

Sandra Hüller: “La svolta a 40 anni”

[…] Prima dell’adolescenza non c’erano stati “segni premonitori” riguardo alla vocazione?
“Guardavo parecchio la tv da bambina (da noi c’era solo un cinema), amavo trovarmi in mondi diversi. Giudicavo gli attori, anche se non sapevo nulla di tecnica: mi suscitavano una reazione forte quelli che mi “tradivano”, che non piangevano lacrime vere, che non provavano con profondità le varie emozioni. Mi arrabbiavo al punto che, qualche volta, “replicavo” alcune scene che mi piacevano per scoprire come le avrei fatte io… Ma non avrei mai pensato che fosse recitare, era più una maniera per sfogare quel groviglio di emozioni che avevo dentro. Quindi, immagino che sia stata una buona scelta professionale (sorride)”.

Ha unito l’utile al dilettevole.
“Mhmmm, dilettevole… Ero tesa, volevo essere brava, seria. Un po’ è cambiato quando ho incontrato Johan Simons (da cui è stata diretta in Hamlet, ndr), un meraviglioso regista teatrale che concede ai suoi attori di fare qualsiasi cosa sul palco. E ciò non significa che si generi il caos, anzi: paradossalmente si crea una situazione “formale” quando è permesso di pensare a tutto ciò che sta accadendo in quell’istante, sia che si tratti di qualcuno fra il pubblico che fa una risata, o del profumo del partner di scena. All’improvviso, recitare è diventato divertente”.

Quando questa svolta?
“Attorno ai quarant’anni. Da poco”.

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