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Spettacolo

Bud Spencer, il figlio Giuseppe: “Papà e Terence Hill fuori dal set non erano amici. La sua ultima parola fu: ‘Grazie'”

Bud Spencer, il figlio Giuseppe: “Papà e Terence Hill fuori dal set non erano amici. La sua ultima parola fu: ‘Grazie'”. Bud Spencer, il figlio Giuseppe Pedersoli, 62 anni, sceneggiatore e produttore per cinema e tv, racconta alcuni episodi inediti sullo straordinario attore napoletano scomparso nel 2016 all’età di 87 anni. Di seguito vi proponiamo alcuni passaggi dell’intervista rilasciata a ‘Il Corriere della Sera’.

[…] Da bimbo le metteva paura, così grande e grosso, con la barba scura e il vocione?
«Né a noi figli né ai piccoli attori con cui lavorava. Il suo sorriso e le sue manone trasmettevano protezione. Una sola volta, per una rispostaccia, mi diede uno schiaffetto su una gamba. Mai visto arrabbiato più di un minuto».

A casa c’era poco.
«Dal ’67 in poi ha girato tre o quattro film all’anno, per dieci, undici mesi era via. Non lo vedevamo quasi mai. Quando tornava ci riempiva di regali. Trenini elettrici e aeroplanini, che piacevano a lui. Sul set andavamo di rado, nemmeno a Campo Imperatore, in Abruzzo, dove giravano i Trinità. Il successo suo e di Terence fu immediato ed esplosivo, non erano preparati. I rapimenti allora erano all’ordine del giorno, aveva paura per noi. A 15 mi portò a Hong Kong, ricordo l’aereo che atterrava in picchiata tra i grattacieli. Per i 18 anni di mia sorella Cristiana organizzò una festa nel deserto, accanto alle Piramidi, era così. Del lavoro di attore parlava poco, con distacco, come se ogni film potesse essere l’ultimo, è arrivato a 100. Si entusiasmava molto di più per le imprese sportive, per l’avventura alle Olimpiadi, forse il momento più felice della sua vita».

Bud Spencer, il figlio Giuseppe: “Papà e Terence Hill fuori dal set non erano amici'”

Non era troppo convinto di fare cinema.
«Non lo so, forse si sentiva inadeguato. Voleva capire chi era davvero, dopo la gloria sportiva. Nel ’57 partì per il Sudamerica, dove restò per tre anni, tra Venezuela e Panama. Da ragazzino aveva vissuto in Brasile con i suoi, lavorando come giovanissimo bibliotecario al consolato. “Il napoletano è un brasiliano triste”, diceva. La famiglia attraversò un momento di difficoltà, camparono vendendo le lenzuola del corredo».

Da giovanotto fece anche il musicista.
«Con amici mise su un complesso, “Gli assatanati del ritmo”, animavano le notti a via Veneto. Lui cantava e componeva. Si presentò un ragazzotto di Polignano a Mare. “Mi prendete con voi?”. Fece sentire le prime canzoni, tremende.”Lascia perdere”. Qualche anno dopo vinse Sanremo. Era Domenico Modugno».

[…] Terence Hill e Bud Spencer, «Trinità» e «Bambino».
«Papà lo chiamava Mario — l’unico a poterlo fare — lui Carlo. Fuori dal set erano due grandi timidi che non sapevano bene come prendersi. Terence è buono e gentile, però molto introverso. E poi, quando non lavorava, viveva negli Stati Uniti. Saranno usciti a cena insieme tre volte in vita loro. Ogni tanto veniva da noi per la spaghettata di mamma. In scena invece si trasformavano, tra loro c’era emozione vera, si creava un’armonia perfetta».

Bud Spencer, il figlio Giuseppe: “La sua ultima parola fu: ‘Grazie'”

[…] Aveva un sacco di idee.
«Imprese ardite che spesso si rivelavano catastrofi economiche. Mentre girava Uno sceriffo extraterrestre… poco extra e molto terrestre, ad Atlanta, comprò una pista di atterraggio, uno sterrato di due chilometri, con una manica del vento e un ufficetto. Si era messo in testa di costruire aerei. Lì. Un giorno si presentarono due tizi vestiti di nero, con cravatte nere, chiaramente due agenti dell’FBI. Lo avevano preso per un narcotrafficante. Evitò l’arresto ma gli confiscarono tutto».

[…] Le diete non erano per lui.
«Partiva sempre con un carico di spaghetti, olio e pomodori. Una volta li ha conditi con i cornflakes. La sua roulotte era affollata, cucinava la sarta Ida. Se gli facevi due kg di pasta poteva mangiarseli tutti. Andò da Messeguè, in Svizzera. Gli presentarono un vassoio con due pere cotte. Al che saltò dalla finestra del primo piano e scappò in rosticceria. La seconda volta gli fecero pagare dieci giorni in anticipo, resistette due. La famosa sera di Italia-Germania 4 a 3, con il produttore Italo Zingarelli, 180 chili pure lui, si fecero fuori 60 polpette e non so quanti filetti di baccalà».

L’ultimo ricordo.
«Puoi anche avere Superman come padre, ma arriva il momento in cui lo vedi diventare fragile. Quando ha capito che non poteva più giocare, si è lasciato andare. Non c’è da sette anni però è come se si fosse “virtualizzato”. È ancora qui. Sentiamo il suo passo, il vocione, il profumo, una sera sì e una no lo vediamo in tv. Non era un santo o un divo, ma uno di famiglia. La sua ultima parola fu: “Grazie”».

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