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Spettacolo

Shirin Neshat: “Da lotta al patriarcato risultati contraddittori. Per noi iraniani un aspetto è cruciale”

Shirin Neshat: “Da lotta al patriarcato risultati contraddittori. Per noi iraniani un aspetto è cruciale”. Shirin Neshat sulla lotta al patriarcato, e non solo, la regista e fotografa iraniana, 66 anni, parla a tutto tondo della condizione femminile in una intervista a ‘Io Donna’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

Il suo lavoro è personale ma forse non del tutto autobiografico. Gli incontri che ha fatto, i corpi delle donne, la vita divisa tra una madrepatria ormai irraggiungibile e l’America che l’ha accolta e dove ormai ha passato più tempo che in Iran dove è nata, l’hanno portata a chiedersi finalmente a quale mondo appartiene?
“Sono un’iraniana, ma sono anche una nomade. Sono felice quando chi guarda le mie opere mi vede come una persona che ha valicato le frontiere. Sono felice quando non vengo ridotta a uno stereotipo”.

L’intersezione tra le diverse arti e tra est e ovest è un luogo comodo per lei?
“Certe volte mi chiedo quale sia l’arte che amo di più e certe volte mi rispondo che è l’opera lirica, (ha messo in scena una Aida diretta da Muti, nel 2017, e per il festival di Salisburgo, nel 2022, ndr ), ma quello che mi importa è sempre la creazione di una singola immagine che dica tutto, con qualunque mezzo”.

Shirin Neshat: “Da lotta al patriarcato risultati contraddittori”

Qual è l’immagine che dice tutto della rivoluzione delle donne in Iran?
“Abbiamo visto molte immagini di Donna, vita, libertà: raffiguravano donne nelle strade, sui tetti delle auto, mentre bruciavano il velo, tutte molto potenti. Sono documenti, veicolano informazioni e sono importanti, indimenticabili. E anche se io non lavoro in relazione alle notizie, le notizie certamente mi attraversano e mi cambiano”.

Lei lavora soprattutto sui corpi, i corpi delle donne, che nel suo lavoro sono visti spesso come campi di battaglia. Dopo Women of Allah ci sono state l’installazione Fervor, che metteva in scena la segregazione di genere, e poi Munis e Faezah sugli abusi sessuali subiti dalle donne nelle prigioni iraniane…
“Donne incarcerate che spesso commettono suicidio. Nel mio lavoro ho cercato di dire come gli uomini esercitino le loro idee sul corpo femminile, come il corpo diventi il luogo della retorica maschile”.

[…] La lotta contro il patriarcato, iniziata a Hollywood con il movimento #MeToo, però, ci ha portato verso Barbie…
“I risultati sono contraddittori. Credo che le donne debbano chiedersi qual è la posizione che vogliono occupare nel futuro e quali prodotti culturali le aiuteranno a fare passi in avanti. Non ho visto Barbie, ma ho visto Priscilla (l’ultimo film di Sofia Coppola, presentato a Venezia in concorso e in uscita al cinema a febbraio, ndr ), è l’ennesimo film in cui la donna si presenta come vittima e si può solo avere pietà di lei. Ma forse è troppo presto per avere risposte definitive rispetto a questo cambiamento in corso…”.

Shirin Neshat: “Per noi iraniani un aspetto è cruciale”

Da Women of Allah in poi, ha reso la parola poetica protagonista insieme alle immagini. Ci ha fatto scoprire i versi magnifici di Farough Farrouzzagh, una vera rivoluzionaria (della poetessa e documentarista è appena stata pubblicata da Bompiani la raccolta di tutte le poesie, Io parlo dai confini della notte).
“E così moderna! Quello di cui scrive non riguarda solo l’Islam e la cultura iraniana, è universale. Trovo che pochi autori iraniani, nel cinema o nella letteratura, siano riusciti a trascendere il discorso politico, il racconto dell’oppressione, della violenza, per arrivare a dire parole universali. Abbas Kiarostami lo faceva. E anche Farough Farrouzzagh. Per noi iraniani la letteratura è cruciale. Non abbiamo una storia dell’arte visiva, ma abbiamo una storia della poesia che risale ai tempi antichi.

Fin da piccola i versi di Farrouzzagh sono stati importanti per me. Era estremamente radicale nel parlare di sessualità e religione, andando contro la tradizione. La sua voce era autenticamente femminista ed era radicale anche nel suo stile di vita. Morì nel 1967 in un incidente stradale, a 32 anni. La idolatro per come è stata fedele a se stessa e per come ha illuminato la mia strada. Io vivo in Occidente e aspiro a comunicare con tutti, a creare un linguaggio artistico che trascenda i confini. I suoi versi mi aiutano a farlo. Credo di poter dire che forse non sarei diventata un’artista se non fosse stato per le sue parole. Scrisse un poema intitolato Dar Barabar-e-Khoda ,”Faccia a faccia con Dio”, in cui metteva Dio di fronte ai propri desideri e parlava del corpo femminile come nessuno aveva mai fatto prima”.

Ci sono ancora i suoi versi nel suo ultimo progetto, The Fury, che è stato mostrato a New York all’inizio del 2023 (e ora prosegue a Stoccolma), e che parla di follia.
“Ho seguito il viaggio emotivo di una donna, iraniana immigrata negli Usa che, pur libera di muoversi, vive traumatizzata dal ricordo delle violenze subite in carcere in Iran.È un’artista,una danzatrice, solo la musica che ascolta ossessivamente nella sua stanza la tiene ancorata alla realtà. Come per me, anche per lei l’arte è stata salvatrice,vivere nella mia immaginazione ha creato per me un luogo sicuro, se me la togliessero morirei”.

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