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Gigliola Cinquetti: “Non ho l’età? Un aspetto è inspiegabile. Mio padre ce l’aveva a morte coi Savoia”

Gigliola Cinquetti: “Non ho l’età? Un aspetto è inspiegabile. Mio padre ce l’aveva a morte coi Savoia”. Gigliola Cinquetti su Non ho l’età, e non solo, la cantante e attrice veronese, 76 anni, parla del suo maggior successo a 60 anni dall’uscita in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

Gigliola Cinquetti, il brano che la consacrò, Non ho l’età, compie sessant’anni. Ieri Amadeus ha annunciato che lei lo canterà nella serata finale di Sanremo il 10 febbraio. Che effetto le fa ricordare quella sedicenne che esordiva al Festival?
«Se fossero stati 50 o 30 era meglio: è una distanza vertiginosa. Quella ragazzina, nei primi vent’anni, è stata molto invadente, petulante. Poi, si è ammansita e siamo arrivate a un accordo. Ora, sono persino fiera di lei».

[…] Si avvicinavano il ’68, la rivoluzione studentesca e quella sessuale e lei cantava «non ho l’età per uscire da sola con te», vendendo quattro milioni di dischi in Europa, facendo tour finanche in Giappone.
«Un successo inspiegabile. Quella canzone rappresentava il mondo che i giovani volevano cambiare e non interessava a nessuno che non appartenessi a nessun mondo, che fossi un tipetto abbastanza unico. Un giovane artista, un “artista autentico”, venne a cercarmi apposta per dirmi in faccia: ti odio, sei tutto quello che detesto, sei falsa, ipocrita, perbenista».

Gigliola Cinquetti: “Non ho l’età? Un aspetto è inspiegabile”

Nel libro che ha appena pubblicato per Rizzoli, «A volte si sogna», ha scritto solo il suo nome, Luigi. Era Tenco che le disse ti odio? Tenco, tre anni prima di suicidarsi?
«Era lui, ma non è importante che fosse lui: capii subito che la sua era una posizione ben precisa con la quale avrei dovuto fare i conti. Quello fu il mio impatto col mondo della musica e una sorta di prova del nove di un successo clamoroso: le critiche anche violente sono il rovescio della medaglia quando si arriva all’idolatria, anche quella senza senso».

Com’era fatta l’idolatria?
«Non potevo uscire di casa. Si creavano assembramenti, ingorghi, isteria. A Milano, in via Manzoni, provocai un tamponamento a catena di cinque macchine. A Sanremo, la mattina dopo la prima esibizione, prima ancora della vittoria, uscii a fare una passeggiata, una ragazzina mi vide, iniziò a strillare come un’ossessa e me la trovai appesa al collo, assieme a sua madre, che mi scuoteva come fanno i bambini coi giocattoli. In niente, mi trovai addosso altre persone: volevano toccarmi, stringermi, mi strapparono il vestito. In quei tre minuti, capii che era accaduto qualcosa di irrimediabile».

Gigliola Cinquetti: “Mio padre ce l’aveva a morte coi Savoia”

[…] Cos’altro cambiò con la vittoria a Sanremo e, subito dopo, all’Eurovision song contest?
«Mi colpì l’euforia della casa discografica, che per me rappresentava il mondo degli adulti a cui tenevo perché mi trattavano con considerazione e rispetto. Sentii di avere un ruolo importante in un’azienda. Poi, quando ho iniziato a fare tour in tutto il mondo, il senso di responsabilità si è focalizzato sul fatto di essere un’artista italiana, immagine del mio Paese. Un impegno enorme, ma un peso consapevole e gioioso perché incontravo gente che amava moltissimo l’Italia».

[…] Le rimproveravano anche di essere fredda, di non aver pianto né vincendo Sanremo né l’Eurosong music festival di quel 1964.
«Fredda? Ero a dir poco congelata. Una forma di difesa».

[…] Fu suo padre a iscriverla a musica, a portarla in giro per concorsi ed esibizioni da bambina prodigio. Che tipo era?
«Aveva avuto una vita intensa, undici anni sotto le armi senza alcuna simpatia per le divise. Ce l’aveva a morte coi Savoia e con Mussolini. Amava la gente, gli italiani di tutte le regioni. Quando cominciai i concorsi e incontravamo maestri che insistevano per il mio perfezionamento diceva: tutti quelli che dicono che deve studiare non capiscono niente. Una volta, alla tv francese, dovevo esibirmi con Sylvie Vartan, Johnny Hallyday, Charles Aznavour e altri giganti. Papà chiese: chi chiude? Vigeva la regola che è l’artista più importante a chiudere lo spettacolo. Uno rispose: Aznavour. E papà: non va mica bene, deve chiudere Gigliola. Gli risposero: ma Aznavour è Aznavour. E papà: Ah sì? Mi dica, signor Aznavour, lei, quest’anno, cosa ha vinto? Mia figlia ha vinto Castrocaro, Sanremo, Copenaghen… era un gran tipo. Si vantava di aver letto un solo libro, Pinocchio di Collodi, ma i film li aveva visti tutti, De Sica, Fellini, amava arte e spettacolo».

Gigliola Cinquetti: “Rinunciai a Hollywood per un motivo”

Il cinema lei lo ha fatto in Italia e, a Hollywood, le offrirono un contratto di cinque anni, ma disse no. Perché?
«Perché ho sempre avuto l’idea del divismo come di qualcosa di luminoso che fa sognare. Non ho mai pensato che l’artista deve somigliare alla massa, ma che deve trasmettere il sublime, come Ingrid Bergman, come Audrey Hepburn. La tentazione di entrare in quel mondo di luce c’era, ma mi dissero che il progetto era fare di me un’altra Deanna Durbin, che a me non piaceva per niente. Aggiunsero anche: la nuova ragazza della porta accanto. Il minimo della vita».

Si è pentita?
«Qualche dubbio mi è venuto, ma niente di più. Lo stesso sulla scelta di non vivere a Parigi. Amo la Francia e la Francia amava molto me, ma ha prevalso la passione per l’Italia, anche se quando mi esibivo all’estero mi sentivo più libera, non c’erano pregiudizi. Alla fine, vivere in un Paese difficile come il nostro mi ha consentito di avere una vita quasi normale a casa, un luogo dove ricaricarmi, bilanciare arte e vita».

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