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Laura Chiatti: “Mio marito miracolato, gli ho salvato la vita con una mossa. Social? Non sopporto un aspetto”

Laura Chiatti: “Mio marito miracolato, gli ho salvato la vita con una mossa. Social? Non sopporto un aspetto”. Laura Chiatti sul marito Marco Bocci e non solo, l’attrice perugina, 40 anni, si racconta a cuore aperto parlando di occasioni mancate e drl rapporto col marito e figli in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

[…] Il cinema cambia le carte.
«Io vivo tra lacune, rimpianti, insicurezze. Conosco i miei limiti. L’inglese, per dirne uno, lo capisco ma non lo parlo bene, sono pigra, ho dovuto rinunciare a film importanti, anche se quando Sofia Coppola mi prese per Somewhere, con cui vinse a Venezia, imparai la parte tre mesi prima. Uno dei temi di questo film è che Silvia ha accusato in modo più violento i traumi dell’infanzia e ha cercato di trasformarli nell’obiettivo della maternità, attraverso un’altra persona, per mettere al mondo una vita che le faccia dimenticare la sua».

Ma lei nella vita, dopo avere avuto due figli, è sempre così insicura?
«Con la maternità alcune cose si acuiscono e altre si attenuano, Enea e Pablo mi fanno sentire il tempo che passa. Sono apprensiva verso me stessa, a volte si lamentano per i troppi compiti e dico, eh, anche per me era lo stesso. Io non mi vedo così autoritaria».

Non era anche ipocondriaca?
«Questo è un discorsone. Sono un tipo di ipocondriaca al contrario. Non faccio nemmeno mezza visita medica, mi autodiagnostico. Poi per paura vado su Google e resto sempre col dubbio. È un auto-sabotaggio continuo. Però cinque anni fa Marco, mio marito, ha avuto una encefalite, eravamo in camera da letto, sono stata tempestiva nel soccorrerlo. È stato miracolato, difficilmente se ne esce vivi. Quel giorno ho capito la fine della gioventù, la fragilità».

Com’è stato lavorare diretta da suo marito?
«Quando litigavamo gli dicevo: guarda che non lo faccio il film, eh. Ma non ci credeva. Sul set non ho ansia da prestazione, mi diverto, so quello che posso fare bene o meno bene, con Marco ero in ansia perché non ci avevo mai lavorato, lui ama ricevere dagli attori, ne studia la psicologia, è un regista randagio».

E lei è una donna libera.
«Non vado dietro al gregge. E non è un vantaggio. Ho perso incontri, possibilità, film. Sono nata libera e indipendente. Ho cominciato a 14 anni, sono cresciuta in Umbria, in una piccola realtà diversa da Roma o Milano. Canticchiavo, partecipavo ai concorsi di canto, la passione poteva essere quella. Al cinema ho cominciato per caso cercando di capire cosa potesse essere questo lavoro».

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Ma da ragazzina cosa sognava di fare?
«La parrucchiera. Il sabato accompagnavo mamma a farsi i capelli e quella era la mia dimensione reale. Venendo dalla provincia, al cinema mi autogestivo, non avendo una formazione teatrale mi sentivo inadeguata. Sul set di Sorrentino, per L’amico di famiglia, ho capito che questo sarebbe diventato il mio lavoro. Venivo da Un posto al sole, Paolo è un regista che giustamente pretende. Non sono mai stata omologata perché non mi sono mai vista uguale alle altre attrici. Ma ho dei riferimenti, sono Golino dipendente. È la mia eroina. Anche lei è libera».

[…] Lei viene da una famiglia modesta, giusto?
«Estremamente modesta. Sono cresciuta a Villa di Magione, vicino Perugia. Mio padre faceva il metalmeccanico e rientrava a casa tardi con la tuta piena di grasso e olio, mamma era segretaria nel negozio di maglieria della zia. Sono cresciuta con la nonna, autoritaria ma mi viziava per quanto possibile. Le insegnai io a leggere. Il pomeriggio lo passavo al baretto vicino casa. Le mie amiche, quando tornai dal Festival di Cannes con il ramo di una palma, giocando su quella che danno alla migliore attrice, l’hanno impressa insieme alle impronte delle mie mani sul cemento di una strada, come fanno ai divi in Usa. La mia Hollywood è in una frazione di Perugia. A Cannes ero andata per il film di Sorrentino, i giornali francesi mi definirono la nuova Brigitte Bardot e ne fui lusingata»

I social?
«Mi azzuffo spesso con gli haters, non sopporto quando mi toccano la famiglia o mi dicono che sono diventata anoressica. Reagisco con cinismo o ironia. Avevo preso dieci chili dopo le due gravidanze, li ho persi con una nutrizionista. E mi insultano. Sono sempre stata 53 chili».

E il complesso dell’altezza?
«Ah, quello non ce l’ho più. Sono 1 e 67, per una vita mettevo i tacchi anche se facevo ginnastica. Non sono più abituata, quando certe volte di sera li metto, traballo. Come faccio, gioco a pallone con i miei figli, a volte in porta a volte all’attacco. Ho un animo maschile, cameratesco. Adesso girerò un film con tutte femmine ma non sono preoccupata perché ci conosciamo già tutte, è il seguito di Addio al nubilato».

[…] Prima ha detto di aver perso occasioni per la sua voglia di libertà.
«Le racconto un episodio che mi fa ancora male. Non dirò il nome, ma un regista molto importante, per un film molto importante, mi fece un provino e mi prese. Al secondo provino mi presentai come sono io, con la tuta e le pinze per fermare i capelli. Mi disse che ci aveva ripensato, avevo un’aria troppo leggera e spensierata per quel ruolo drammatico. Lì mi arrabbiai e gliene dissi di tutti i colori. Perché, non avrei tirato fuori la sofferenza durante le riprese? Io le cose le dico in maniera sfacciata e a volte mi precludo delle occasioni».

[…] Siete belli, lei e suo marito. Gelosi?
«Lui lo è. Io non ho mai letto i messaggi sui cellulari degli altri e del suo: sono come le malattie, visiti visiti e alla fine qualcosa trovi».

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