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Spettacolo

Alba Rohrwacher si racconta: “Da piccola avevo un terrore. Spero di essere libera dei fantasmi del passato”

Alba Rohrwacher si racconta parlando della sua infanzia e della sua adolescenza vissuta in una casa lontana dai centri abitati

Alba Rohrwacher si racconta: “Da piccola avevo un terrore. Spero di essere libera dei fantasmi del passato”. Vi proponiamo alcuni passaggi dell’intervista rilasciata dall’attrice ai microfoni della rivista Vanity Fair n. 10, in edicola da oggi, mercoledì 4 marzo 2020.

Che rapporto ha con la memoria?
«Il ricordo di quello che sono stata, anche mio malgrado, riaffiora sempre e non chiede il permesso. A volte è dolce, altre più acre: ma crescendo credo e spero di essermi liberata da alcuni fantasmi del passato e dai limiti che mi hanno condizionata».

Che tipo di limiti erano?
«Il senso di inadeguatezza che credo nutra qualunque figlio, in qualsiasi famiglia e ambito cresca».

Il suo era particolare?
«I miei genitori avevano deciso di lasciare la città e di insediarsi in un posto isolato, in campagna, circondato dalla natura e dal silenzio. Nelle rare occasioni in cui mi capitava di incontrare i miei coetanei – il paese più vicino era a 5 chilometri – io ero l’estranea, la ragazzina che non c’era mai, la forestiera che abitava in un luogo impensabile per gli altri».

Quella condizione le creava timori?
«Nella mia infanzia e nella mia adolescenza sono stata molto spericolata. Non avevo paura delle avventure né ero dotata di una precisa cognizione dei limiti del mio corpo. Lo mettevo a repentaglio, saltavo dalle rocce, mi buttavo nel fuoco, rischiavo in continuazione. La mia paura aveva a che fare con l’accettazione. Temevo che la mia condizione stravagante provocasse un rifiuto. Avevo il terrore della mia diversità. Della mia anomalia. Ero intimamente spaventata dal fatto che gli altri mi guardassero come un’extraterrestre».

Alba Rohrwacher si racconta: “Ho sempre mantenuto un’identità fortissima”

Provò a mimetizzarsi?
«In realtà, neanche un po’. Ho sempre mantenuto un’identità fortissima. Non sono mai stata una di quelle che fumava perché fumavano gli altri o si vestiva in un certo modo perché lo pretendeva il senso comune. Ma la scissione o meglio ancora la contraddizione tra il voler essere accettata e il non far nulla per tradire quella che ero, esisteva e qualche problema me lo ha creato».

Le contraddizioni cosa restituivano?
«Confronti. Frizioni. Asprezze dialettiche. Con mio padre per esempio, un gigante con cui il duello sarebbe stato sconsigliabile, andavo allo scontro in maniera anche molto violenta. Ci urlavamo contro, con scambi eclatanti, folli, non di rado melodrammatici. Mi sono allenata ai palcoscenici che poi ho frequentato molto più tardi nel piccolo teatro della mia cucina».

Che rappresentazioni erano?
«Manifestazioni di rabbia. La rabbia furiosa di chi si trova in un isolamento in cui non vuole stare, di chi si chiede “che ci faccio qui?”, di chi vorrebbe evadere da un tempo lungo, eterno, in cui le stagioni osservate dalla finestra, con lentezza, sembravano non finire mai».

Ha fatto i conti con quella rabbia?
«Oggi sono serena, mi sono placata, ma posso ritornare a quel sentimento. Lo conosco e non lo disconosco. All’epoca ero una bambina. Una bambina che era all’opposizione su tutto».

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