Lapo non ama Milano, l’intervista a ‘Il Corriere della Sera’
Lapo: “Non amo Milano, vado via. Da Sala e Fontana messaggi sbagliati. Faccio un appello ai giovani”. L’imprenditore lo confessa in una intervista rilasciata ai microfoni de ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
[…] È stato in tutti i posti disegnati?
«Sono stato ovunque, amo ogni nostro angolo, mi sento italiano anche se sono nato in America e sono mezzo francese, mezzo cattolico e mezzo ebreo. Però, a 18 anni, ho disdetto la cittadinanza americana e le mie aziende pagano le tasse qui».
Un luogo del cuore?
«Prima città Torino, perché c’è mio fratello, per mille ragioni. Poi amo Napoli con tutto il cuore, mia nonna Marella era napoletana, ci vado spesso. E ho un debole per Palermo. In un ristorante all’aperto che, a vederlo, non gli dai un euro ho fatto una cena meravigliosa proprio con John: per strada, su sedie di plastica, ho mangiato il miglior pesce della vita. L’autenticità dell’Italia si sente tantissimo nel cibo. Io, se penso all’Emilia, penso ai tortellini, penso al ristorante Montana vicino alla Ferrari, penso a moltissime cose che mi fanno felice».
La Milano in cui vive la fa felice?
«Se dicessi che la amo, sarei ipocrita: è efficiente per lavorare, ma non mi trasmette allegria. Sto riflettendo se trasferirmi altrove. Ora, poi, ci sono appena stato tre giorni e sembrava il deserto dei tartari».
Il sindaco Sala ha invitato i milanesi a smettere lo smartworking, se no la città muore.
«Se non ci fosse stata Letizia Moratti, Milano non avrebbe avuto l’Expo e il fervore e la vitalità i cui meriti se li sono presi altri. Ora, sul Covid, sia il sindaco sia il governatore Fontana non hanno dato i messaggi giusti al momento giusto. La mia è un’opinione da comunicatore».
Lapo: “Milano? Sarei un ipocrita se dicessi che l’amo”
La crisi economica post Covid farà dei giovani una «generazione perduta»?
«Mario Draghi l’ha detto cento volte meglio di come posso dirlo io. Auspico diventi presidente del Consiglio o della Repubblica. Io, da un lato, sono preoccupato per i giovani, dall’altro, dico: state più attenti. Troppi ignorano le mascherine, si ammassano nelle discoteche, pensano che il Covid non li tocchi».
Questo detto da uno che ama divertirsi?
«Detto da uno che ha imparato che civiltà e responsabilità significano prendersi cura di sé e anche degli altri. Agli incivili che ho visto fare movida col rischio di portare il Covid ai nonni, dovrebbero dare multe enormi. E certi gestori di locali hanno pensato solo a fatturare».
Toccava a loro separare i ragazzi in pista?
«Servivano più controlli e meno avidità. Chiudere le discoteche è stato giusto. Il tema più duro, però, è la riapertura della scuola: non dare ai giovani cultura è più grave che non dare discoteche. Oggi vedo parole, date, ma l’unico discorso interessante sul futuro che ho sentito non è di Grillo, di Di Maio, neanche di Conte, ma di Draghi. Vorrei più Draghi e meno Grilli».
[…] Lei ha vissuto overdosi, incidenti, scandali, è finito in coma due volte: come è riuscito a rialzarsi sempre?
«Ho imparato ad accettare i miei punti deboli e a chiedere aiuto. Ho capito che non si vince mai da soli. Tutti hanno fragilità, tutti soffrono, tutti hanno cadute e la chiave è non vergognarsi. Io ne ho avute tante di cui si è parlato ovunque. Mi fa piacere? Certamente no e mi ha fatto soffrire, ma ora ho l’enorme vantaggio di non avere niente da nascondere. Non mi vergogno più di quello che sono, non devo ingannare me stesso e non devo far finta di essere chi non sono».
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