Piero Chiambretti: “TeleMeloni esiste ma il problema è un altro. La felicità non esiste, oggi il concetto è cambiato”. Piero Chiambretti su TeleMeloni, e non solo, il conduttore piemontese, 69 anni, da questa sera torna su Rai 3 con Fin che la barca va. Ne parla in una intervista a ‘La Repubblica’ della quale vi proponiamo alcuni passaggi.
Da questa sera, lunedì 6 ottobre, alle 20.15, Piero Chiambretti torna su Rai 3 con “Fin che la barca va”, un programma in cui, viaggiando sul battello sul Tevere, intervista gli ospiti. Il ritorno in onda è accompagnato da una riflessione ironica e pungente: «Non parlatemi di ottobrate romane, perché non esistono più. La mia è una trasmissione sofferta, prendo tanta di quella umidità. È umido… Oddio, detto così umido, no, che fa subito pensare all’immondizia». Per inaugurare questa nuova stagione, Chiambretti ha scelto un ospite particolare. «Sarà una partenza terapeutica. Ho scelto un prete, con i preti non si sbaglia mai nei momenti di grande precarietà. La rassicurazione è decisiva. Intervisterò Filippo Di Giacomo, vaticanista, uomo di grande esperienza con una profondità da giornalista».
Piero Chiambretti: “TeleMeloni esiste ma il problema è un altro”
Parlando di televisione, Chiambretti non nasconde le difficoltà nel proporre contenuti nuovi. «Sì, perché nessuno le vuole. Pensi a La ruota della fortuna, Pier Silvio Berlusconi è riuscito a rilanciare un programma di 40 anni fa, mettendo in difficoltà uno più contemporaneo. La memoria vince su quella che una volta era la sperimentazione. La memoria riassicura, un po’ come succedeva con Techetechetè finché non l’hanno strizzato».
Secondo lui, la responsabilità non è solo dei dirigenti, ma anche del pubblico. «È un insieme di fattori. La televisione è diventata più scientifica, una specie di formula chimica: si calcolano i follower dei personaggi, numeri freddi che non danno calore». Il suo sguardo si allarga poi alla società, commentando la recente mobilitazione per Gaza. «Il senso civile, anche se poi queste manifestazioni vengono inquinate da teppisti che non c’entrano nulla. Si scende in piazza contro la guerra e c’è chi si infiltra, cerca le risse per dire poi che la polizia è fascista».
Chiambretti si definisce figlio della Rai3 di Angelo Guglielmi, un’epoca in cui, anche grazie a Bruno Voglino, si lanciavano talenti. Oggi, dice, quel fermento creativo è svanito. «Provo una nostalgia enorme. Viene a mancare quel senso di appartenenza a una rete, o a un giornale, semplicemente a una squadra di calcio. Il calcio non ha più bandiere, una volta c’era gente che giocava con una gamba sola pur di esserci, oggi giocano per non farsi male. Ora c’è tutto un mondo improntato solo al benessere personale, contano i soldi: si fanno le guerre per fare i soldi».
Piero Chiambretti: “A Mediaset mi sono autocensurato”
Il cambiamento della Terza rete sotto l’influenza politica è un altro tema che affronta con lucidità. «Credo che TeleMeloni esista, perché gli uomini di riferimento dell’azienda, diversificata per colori, hanno molti dirigenti e un amministratore delegato che si riferiscono alla presidente del Consiglio. Ma anche prima succedeva lo stesso, con altri partiti. Io vorrei fare la tara tra chi è bravo». E aggiunge: «Il problema non è la raccomandazione, se il raccomandato è bravo. Ai miei tempi c’erano Rai1, Rai2, Rai3, legati ai partiti di riferimento: la Dc, i socialisti, i comunisti. Non erano tutti bravi, ma alcuni erano bravissimi, andavano avanti perché lo meritavano. La tv è lo specchio della realtà, anche in una pizzeria è uguale: prendi a lavorare uno perché è amico del fratello del proprietario».
Riguardo alla sua esperienza a Mediaset, Chiambretti sottolinea come abbia cercato di adattarsi, ma senza imposizioni. «Il pubblico di Mediaset è costruito su canoni a cui ho cercato di adattarmi, e qualche volta no. Mi sono censurato io rispetto al pubblico, nessuno mi ha mai detto niente». Il rapporto con Pier Silvio Berlusconi, nonostante le difficoltà, è rimasto solido. «Abbiamo un rapporto tacito di fiducia, siamo arrivati a fare anche cose strane, che fossero dentro un range. La sua paura di mettermi in prima serata, nonostante avessi fatto il Festival di Sanremo, era legata al pubblico. Poi si preoccupava che non fossi soddisfatto, però credeva nel talento».
Piero Chiambretti: “La felicità non esiste, oggi il concetto è cambiato”
Chiambretti osserva con occhio critico la ripetitività della televisione italiana, dove i format storici continuano a dominare. «Nessuno rischia più niente, l’abitudine la fa da padrone. Il pubblico – spesso anziano – è conservatore, si rassicura nel vedere qualcosa che conosce». Nel privato, il rapporto con sua figlia Margherita lo mette di fronte a nuove generazioni e nuovi linguaggi. «Mia figlia è veloce, rapida. E per certe cose mi fa paura: le piace Sfera Ebbasta, mi interrogo, ma noi non lo possiamo capire. E pensi che Sfera Ebbasta, la prima volta che è apparso, era con me».
Sul tema della fede, Chiambretti si mostra riflessivo e ambivalente. «A giorni alterni. Ne voglio parlare con Filippo Di Giacomo. La fede, che nasce dalla nostra religione, a sua volta fondata da un grande rappresentante che sta in cielo, ci aiuta. Ma come si fa a credere, quando il rappresentante che sta lassù permette la guerra, i genocidi, la fame nel mondo? Aspetto don Filippo». Infine, la sua visione della felicità è segnata da un realismo disincantato. «A una considerazione pessimistica: che la felicità non esiste. Felicità, oggi, vuol dire soffrire il meno possibile, non ammalarsi, non fare incidenti. Tradotto in poche parole, vivere schivando i problemi».
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