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Alessandra Mussolini: “Addio Cinema? Non mi prendevano mai, c’entra il cognome. Adoravo Bassolino. E su nonno Benito…”

Alessandra Mussolini: “Addio Cinema? Non mi prendevano mai, c’entra il cognome. Adoravo Bassolino. E su nonno Benito…”. Alessandra Mussolini sull’addio al Cinema, il nonno, la politica, l’infanzia, e non solo. L’ex parlamentare, 61 anni, si racconta a cuore aperto in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

[…] Perché non continuò con la carriera nel cinema?
«Perché non mi prendevano mai. Dopo ogni provino le risposte erano: troppo bella, troppo brutta, troppo alta, troppo magra, occhi troppo chiari. Il vero troppo forse era il cognome».

Insinua o ha le prove?
«Dino Risi me lo disse in faccia. “Tu vuoi fare il cinema con quegli occhi che ricordano tuo nonno? Almeno cambiati il cognome!”» […] «Che poi, se pure mi fossi cambiata il cognome, non sarebbe cambiato nulla. Avrebbero detto “guarda ‘sta vigliacca, pure il nome si cambia”. Poi quando le cose non vanno e non funzionano, non ti puoi mica incaponire. Chiusi col cinema, mi iscrissi a Lettere, dove però c’erano sempre troppo casini e troppe manifestazioni, quindi a Medicina».

Altro buco nell’acqua?
«Mi sono laureata nel 1994 e ancora oggi pago la quota all’Ordine dei medici. Dopo il master in angiologia, capitava che un paziente aprisse gli occhi dopo un ecodoppler dei tronchi sovraortici, guardasse verso di me e dicesse: “La Mussolini qui? Che è, una candid camera?”».

Era già in politica.
«In Parlamento incontravo l’avvocato Agnelli, appena nominato senatore a vita, che con me era molto garbato. Il Movimento sociale mi mandò a sfidare Bassolino a Napoli e fu un successo incredibile. Io e Bassolino arrivammo al ballottaggio lasciando fuori la vecchia Dc».

Ne parla come di un alleato. In realtà lui divenne sindaco e lei venne sconfitta.
«Adoravo Bassolino, avevamo molte cose in comune. Fosse stato possibile, avrei costruito una grande coalizione con lui in consiglio comunale. Mo’ si parla tanto di fluidità; politicamente ero fluida già all’epoca».

Alessandra Mussolini: “Addio Cinema? Non mi prendevano mai”

Che bambina è stata?
«Spaventata, non toccavo cibo. Violenza fisica non ce n’era ma così era forse persino peggio, a casa erano litigi continui, senza sosta. Partivano dalla cucina e arrivavano in sala da pranzo, innescati spesso da nonna Romilda che attaccava mia mamma. Tanto nonna aveva costruito con zia Sophia, quanto poi ha distrutto con mia mamma».

Sua zia, Sophia Loren, era presente nelle vostre vite?
«In giro per il mondo o nella favolosa villa di Marino, comunque faceva vita a sé. Aveva sposato un uomo, Carlo Ponti, decisamente austero rispetto a noi, freddo, arido. Comunque, parte dei soldi che zia aveva guadagnato con Quo vadis li diede a mia nonna perché comprasse il cognome “Scicolone” anche per mia mamma».

Prego?
«Riccardo Scicolone, di cui mia nonna era stata amante, aveva riconosciuto zia Sofia, dandole il suo cognome, ma non mia mamma, che infatti portava il cognome di nonna, Villani. Lo pagarono per dare il cognome anche a mia mamma. La somma esatta non l’ho mai saputa ma so che comunque era una bella cifra. In ogni caso penso di averlo visto due volte, non sapevo neanche se con la sua famiglia vivesse a Roma o meno, non lo nominavamo mai».

L’altro nonno, il Duce, lo nominavate?
«Frequentavo durante le vacanze Villa Carpegna ma la mia infanzia e in generale la mia vita le ho trascorse col ramo Scicolone, non col ramo Mussolini. Vuole chiedermi dei cimeli di nonno Benito?».

Ne possiede?
«Le rispondo come faccio quando me lo chiedono in privato: sono io il cimelio, un cimelio vivente, ho respirato quell’aria, porto il cognome».

Alessandra Mussolini: “Adoravo Bassolino. E su nonno Benito…”

Suo papà, Romano, parlava del padre?
«Mai. Per lui esisteva la musica, era un artista, viveva come gli artisti. Un piacione, tanti viaggi, tante donne, pochi soldi».

Eravate poveri?
«Mamma si faceva fare credito dai negozianti di piazza Monte Gennaro, quartiere Montesacro, dove abitavamo a Roma; papà sbarcava il lunario coi concerti, faceva quel che poteva, magari prestava soldi agli amici ma in tasca non aveva mai niente. Io e mia sorella ci scambiavamo i vestiti».

[…] Ricordi felici?
«Due o tre al massimo. Una giornata al luna park dell’Eur, una domenica nel lettone a guardare Stanlio e Ollio in pigiama tutti assieme, più il gioco del buio che dà il titolo al libro, che facevamo con mio papà nella piccola casa in cui abitavamo».

[…] Come visse la fine del matrimonio dei suoi genitori, che era iniziato sotto i flash dei rotocalchi?
«Imparando che l’amore è un sentimento che va, viene, a volte ritorna, a volte no. Questione di neurotrasmettitori, non possiamo farci granché».

Perché sua nonna Romilda aveva così tanto protetto la prima figlia Sophia e così poco la seconda, sua madre Maria?
«Con zia aveva fatto tanti sacrifici, aiutandola all’inizio della sua carriera nel cinema. Poi arrivò mia mamma, il matrimonio principesco con Romano Mussolini, i rotocalchi: pensò che a lei stessa non sarebbe rimasto nulla. Nonna Romilda viveva nella rabbia e nel rancore, mamma rinunciava a tutto, papà viveva di musica e dei suoi amori clandestini. E, in fondo a tutto, due bambine, io e mia sorella Eli, a vivere tra le urla e a chiederci sempre: “Possibile che debba andare sempre tutto così?”».

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