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Spettacolo

Sergio Rubini: “Carriera? All’inizio accettai per disperazione. I social mi piacciono ma c’è un motivo se non pubblico il privato”

Sergio Rubini: “Carriera? All’inizio accettai per disperazione. I social mi piacciono ma c’è un motivo se non pubblico il privato”. Sergio Rubini sulla carriera, l’analisi, i social e non solo, l’attore e regista pugliese, 65 anni, si racconta a cuore aperto in una intervista a ‘Vanity Fair’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

[…] sta montando il suo nuovo film: le piace questa fase del suo lavoro?
«Tutte le fasi che hanno a che fare con l’allestimento di un film mi entusiasmano perché in realtà sono tutte figlie della scrittura. All’inizio scrivi nella tua testa un film, poi lo butti sulla carta e lo scrivi, e dopo ancora, quando lo giri, in qualche modo lo riscrivi insieme agli attori e ai collaboratori. Al montaggio, però, lo riscrivi ancora una volta: è un processo che mi affascina molto perché ti porta a confrontarti con gli altri e con dei punti di vista diversi dal tuo. Adoro il fatto che il cinema sia un eterno confronto».

Sergio Rubini: “Carriera? All’inizio accettai per disperazione”

Non è scontato che, dopo tanti anni, riesca ancora a riconoscere la magia di quello che fa.
«Se non ci fosse, saremmo morti. Penso che la cosa più importante per uno che fa il mio mestiere sia tenere vivo l’entusiasmo e non pensare di aver imparato qualcosa. Ritengo che questo sia uno dei pochi mestieri al mondo per il quale è fondamentale disimparare quotidianamente, che è anche la cosa più difficile da fare perché noi impariamo per sentirci sicuri e avere delle maniglie a cui poi appoggiarci. Il mio, invece, è un mestiere in cui è necessario sentirsi permanentemente impreparati».

Lei quando ha capito che doveva farsi trovare impreparato?
«Quando, da ragazzino, entrai in un locale e mi resi conto che una persona suonava molto meglio di me. Erano gli anni in cui volevo fare il musicista in un gruppo rock, mi ero anche tinto i capelli come David Bowie: capire che non sarebbe stata quella la mia strada mi ha fatto crescere oltre che farmi seguire il consiglio di mio padre di dedicarmi al teatro. A quel tempo mi sembrava una roba da parrucconi, da vecchi, ma per disperazione accettai di entrare nel gruppo e, al momento della messa in scena, scoprii che mi piacque tantissimo. Pensavo di aver capito tante cose ed, effettivamente, è stato così. A 16 anni ho avuto la fortuna di comprendere quello che avrei voluto fare».

Suona ancora?
«No, ho suonato per un periodo, ma ora non mi avvicino più al pianoforte. Ho, però, guadagnato una grande cosa: fare del mio lavoro il mio hobby».

Sergio Rubini: “I social mi piacciono ma c’è un motivo se non pubblico il privato”

È una risposta molto romantica, questa.
«Penso che il romanticismo sia una dimensione che appartiene alla mia vita: di certo non sono cinico, anche se mi piacerebbe esserlo. Sono più preda delle mie passioni che, alla mia età, penso di aver deciso di valutare. Vado da 25 anni in analisi, anche se ho rinunciato all’idea di poter modificare qualcosa del mio modo di essere. Vado in analisi semplicemente per cercare di accettarmi, non tanto di correggermi. Oltre per rendere migliori le cose che faccio».

Va sempre dallo stesso analista oppure ne ha cambiati altri?
«Ho fatto un patto di ferro con l’analista che ho trovato 25 anni fa: mi ha promesso che non mi avrebbe mai mollato, e io gli sono ancora fedele».

Un matrimonio, praticamente.
«Più di un matrimonio: ho una compagna da 25 anni, ma il mio analista era nella mia vita prima che lei arrivasse».

[…] Si reputa un libro aperto ma della sua vita, considerando anche l’esposizione sui social, sappiamo poco: è una scelta?
«Ho una pagina Instagram in cui cerco di metterci dentro quello che faccio, ma ho un senso del pudore che mi porta a usare i social come un’emanazione di ciò che sono come artista, niente di più. Su Instagram mi piace raccontare quello che sto facendo, il mio lavoro, ma francamente le calze che indosso, le scarpe che indosso, oppure se al mattino faccio colazione con il cioccolato o con il tè non riesco a condividerlo con gli altri. Non perché abbia un preconcetto, ma perché non riesce a entrarmi in testa l’idea che possa interessare a qualcuno. Detto questo i social, quando sono usati bene, mi piacciono tantissimo».

Sergio Rubini: “L’Amore è struggimento e dolore””

Un attimo fa ha parlato di pudore: ce l’ha sempre avuto?
«Ce l’ho di formazione. Vengo da una famiglia piccolo borghese e mie mamma era una maestra della scuola elementare. Può immaginare come sia venuto su».

Eppure, nella sua filmografia, ha raccontato molto bene l’amore inteso come sofferenza e motivo di crescita. Penso, per esempio, a Il viaggio della sposa, nel corso del quale l’amore verso l’altro consiste nell’abbandonare qualcuno che si ama per garantirgli la felicità. L’amore ha sempre una sorta di amarezza dentro di sé?
«Io penso che l’amore sia struggimento e dolore. L’amore ci porta a squarciarci per diventare parte di un’altra persona, ed è per questo che è un sentimento doloroso. Su Il viaggio della sposa, penso che oggi non sarei più in grado di fare un film come quello perché dentro di me all’epoca c’era un’idea dell’amore che aveva a che fare con l’età che avevo. Oggi vedo l’amore in maniera diversa, come un sentimento meno violento e che dà in qualche modo più certezze. Penso che l’amore sia un numero di telefono che uno può comporre la sera più brutta della propria vita, quando sei attaccato a un ponte che sta crollando, stai per morire e non pensi ad altro che sentire la persona che ami un’ultima volta. Se non hai quel numero, vuol dire che non c’è amore».

Che rapporto ha con il dolore: riesce a guardarlo in faccia oppure tende a nasconderlo sotto il tappeto?
«Gli artisti il dolore devono assolutamente guardarlo in faccia perché il loro mestiere li porta a toglierselo di dosso scrivendo una storia che dia senso a quello che un senso non sembra avercelo. Penso che gli artisti con il dolore ci debbano sempre fare i conti».

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